Come dimostra Leo Marx nel suo saggio La macchina nel giardino: tecnologia e ideale pastorale in America, il richiamo del progresso e la fascinazione per un ambiente vergine e vigoroso hanno percorso binari paralleli all’interno del dibattito intellettuale statunitense. Il richiamo immediato è alla tradizione del trascendentalismo, nella quale è già possibile individuare questi due orientamenti, in conflitto ma complementari, nelle figure di Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau: se il primo, nel Poeta, inserisce gli artefatti umani nello stesso grande ordine cui obbedisce anche la natura selvaggia, dimostrando una fede ottimistica nella tecnologia, il secondo, con Walden ovvero Vita nei boschi, ha lasciato quel testamento primitivista-pastorale che è a tutt’oggi un testo fondamentale del pensiero ecologista.
«Non credo che vedrò mai/ una poesia bella come un albero», recita una nota filastrocca di Joyce Kilmer di frequente inserita nelle antologie scolastiche statunitensi. Forse il desiderio di smentire, con un romanzo, questa filastrocca era nella mente di Richard Powers prima di scrivere Il sussurro del mondo (traduzione di Licia Vighi, La nave di Teseo, pp. 658, e 22,00), Pulitzer per la narrativa di quest’anno.

Un manifesto in fiction
Diligentemente diviso in radici, tronco, chioma e semi, il romanzo racconta le vite intrecciate di nove personaggi e il ruolo degli alberi del continente nordamericano nella loro definizione. C’è Patricia Westerford, ricercatrice botanica più a suo agio nel regno vegetale che nella società umana, la quale scopre come le foreste vergini si comportino alla stregua di un unico, colossale organismo vivente, molto più consapevole di quanto si voglia credere. C’è Neelay Mehta, programmatore costretto su una sedia a rotelle per via della caduta da un albero, e che proprio in un albero trova l’ispirazione per un videogioco rivoluzionario nel quale i personaggi interagiscono con un mondo totalmente vivo. E c’è Olivia Vandergriff, ragazza perduta che letteralmente rinasce trovando nella difesa dell’ambiente la sua ragione di vita.
Il progetto di Powers è ambizioso: creare un romanzo che sia anche un manifesto ecologista e un manuale di sensibilizzazione all’ambientalismo. Investito di un ruolo formale che si rispecchia nelle sezioni del libro, l’albero si fa – in questo caso – anche tecnica narrativa. Sebbene si possa imputare alla scrittura di Powers una certa ridondanza che va inevitabilmente a rallentare il ritmo della storia, essa tuttavia sembra funzionale a mimare la lenta e graduale crescita di una pianta, aspirando a raggiungere la maestosità del castagno americano, specie in pericolo che, nelle dinamiche della narrazione, funge da simbolo ricorrente e da sineddoche per la decimazione del patrimonio naturalistico statunitense.

Oltre allo scopo evidente di spingere il lettore a ripensare il rapporto dell’uomo con l’ambiente, il romanzo è anche un’opera di denuncia della gestione scriteriata delle risorse naturali da parte della società odierna. Il dualismo tecnologia-natura che era stato descritto da Marx, torna nel Sussurro del mondo attraverso le lotte ecologiste dei protagonisti, disposti a trasformarsi in veri e propri ecoterroristi pur di difendere l’integrità delle foreste americane. Ma, invece di limitarsi a delineare un’astratta dialettica simbolica, Powers mette chiaramente in scena la spregiudicatezza del capitalismo contemporaneo che, con atteggiamento predatorio dispone liberamente della biosfera allo scopo di generare profitto.

Nonostante il linguaggio lirico (che sconfina non di rado nel sentimentalismo) quella dell’autore è niente di meno che una chiamata alle armi: la difesa del pianeta è una lotta refrattaria a compromessi, che comporta dedizione totale e, talvolta, sacrifici estremi. Lontana dal centrismo neoliberista tipico della politica statunitense, questa posizione dimostra come la disobbedienza civile favoreggiata da Thoreau, forse anche grazie alla recente riemersione di un certo tipo di militanza all’interno della società americana, sia diventata oggi una necessità e una forza da contrapporre all’azione pervasiva del «realismo capitalista».

Etica antispecista
Forse ciò che di più importante c’è nel libro di Powers – sottolineato dal titolo originale del romanzo, The Overstory, ovvero «la storia sovrastante», alla quale e dalla quale fluiscono tutti i singoli racconti che compongono non solo questo libro ma il pianeta intero – è la spinta a muoverci verso una rifondazione ontologica del contesto in cui viviamo che oscilli tra prefigurazioni post-umane (nelle sezioni dedicate al mondo virtuale e alle possibilità esistenziali derivate dall’uso virtuoso della tecnologia) e una visione totalizzante della vita sul pianeta secondo la quale ogni essere compartecipa di un super-organismo iperconnesso.

Le barriere tra umano e non-umano verrebbero a cadere se l’ottica adottata fosse informata da un’etica radicalmente antispecista, in grado di contare anche il regno vegetale nel novero degli organismi senzienti, meritevoli di dignità e rispetto. Il romanzo di Powers non ha nulla a che vedere con una pur stravagante forma di proclama New Age, è invece un ragionamento articolato che utilizza l’arte, la scienza, la filosofia ed exempla che fanno dei suoi protagonisti gli alfieri immaginari di una società ancora di là da venire ma auspicabile e necessaria per il mantenimento della vita sul pianeta.