Parlando al telefono con un auricolare, Richard Linklater, nella sua fattoria, dà da mangiare a tre maiali neri, poi un asinello, delle capre, un pollo. All’altro capo del telefono ci sono delle persone in uno studio, che potrebbe essere ovunque. Discutono il progetto del prossimo film del regista, non sappiamo quale ma non ha importanza. È la sequenza che apre il cortometraggio Où en êtes-vous, Richard Linklater? l’autoritratto commissionato a Linklater dal Centre Pompidou in occasione della retrospettiva che l’istituzione parigina dedica al regista (curata da Judith Revault d’Alonnes) cominciata il 25 novembre e in corso fino al 6 gennaio.

IN PROGRAMMA ci sono tutti i suoi film, dall’esordio con il cortometraggio Woodshock (1985) a Last Flag Flying (2017), una mostra, una masterclass del regista, una sezione intitolata Carte blanche in cui Linklater presenta due film di altri registi scelti da lui: Tender Mercies di Bruce Beresford e Last Night at the Alamo di Eagle Pennell, entrambi del 1983 ed entrambi ambientati nello stato del regista, il Texas. Lo stesso luogo dove si apre il suo cortometraggio/autoritratto, che Linklater sottotitola Another Day at the Office, un altro giorno in ufficio – laddove l’ufficio è la sua fattoria nei pressi di Austin – sottolineando la sua posizione eccentrica non solo rispetto al cinema degli Studios ma anche geograficamente: «Vivo in mezzo al nulla e lì sono rimasto – racconta durante la masterclass – è una scelta insolita di cui ho pagato il prezzo, ma che mi ha anche consentito una certa libertà. Ho avuto la possibilità di trasferirmi a Los Angeles come molti altri registi, ma non sopporto di stare in un posto dove la forma d’arte che amo è trattata come un business, dove per ogni artista ci sono 100 uomini d’affari. E poi a Austin c’è la Film Society».

Cioè l’associazione fondata da Linklater nel 1985 e che inizialmente non era che un cineforum, un modo per portare film da scoprire e riscoprire nella città dove il regista, classe 1960, si è trasferito a 20 anni e ha iniziato la sua carriera – e che oggi ha un cinema, degli Studios, un fondo per sostenere i filmmaker, dei corsi di formazione cinematografica. Alla Austin Film Society è dedicata una sala intera della mostra del Pompidou: dai cartelloni delle retrospettive/rassegne (Rohmer, Fassbinder, James Benning) agli eventi più popolari come il Quentin Tarantino Film Festival che il regista ha tenuto a Austin per dieci anni, dal 1997 al 2007, condividendo con il pubblico della città la sua sterminata collezione privata.

A COMPLETARE l’autoritratto di Linklater ci sono invece tre estratti dei suoi film in cui appare lo stesso regista: il lungometraggio d’esordio It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (1988), il suo monologo in Waking Life (2001) e quello che apre Slacker (1990), il secondo film del regista, diventato un fenomeno di culto, in cui nel corso di un’unica giornata incrociamo diversi personaggi di Austin, li perdiamo e ne troviamo sempre di nuovi: «Non avevo mai visto un film che passasse da un personaggio all’altro, sulla carta non aveva senso – ricorda Linklater – ma sapevo che avrebbe funzionato perché si rivolgeva a una nuova generazione, cresciuta passando da un canale all’altro della televisione, entrando e uscendo dalle sale dei multiplex per vedere più di un film. Slacker cercava di catturare il modo caotico con cui attraversiamo la vita, di riprodurre attraverso la città anche un paesaggio mentale, il modo in cui processiamo il trascorrere del tempo. Quando è diventato un fenomeno cult la gente ha cominciato a usare il termine slacker con un’accezione negativa, i media lo impiegavano per descrivere una generazione che non fa nulla. Ma per me il film era una descrizione della controcultura di quegli anni. Ha anche dei contorni oscuri: erano gli anni Ottanta negli Stati Uniti, l’epoca apocalittica di Reagan. Sono stati una decade tremenda, fatta di yuppie, avidità, consumismo. Noi rifiutavamo il mainstream, lo trovavamo brutto, ci sentivamo appunto una controcultura e ho voluto rappresentarla».

IN APERTURA di quel film, il personaggio interpretato da Linklater racconta a un tassista il sogno che ha appena avuto, in cui tutti i futuri possibili, quelli automaticamente annullati dal fatto di fare una scelta piuttosto che un’altra, coesistono in una moltitudine di universi paralleli. E la potenzialità di un futuro che potrebbe avverarsi, o l’osservazione del suo accadere nel mondo di infinite possibilità del cinema, accompagna non solo molti film di Linklater – come nell’incontro fortuito che determina il corso di due vite nella trilogia Before: Prima dell’alba (1995), Before Sunset (2004) e Before Midnight (2013) – ma anche la sua prospettiva sul mondo.

È in questi termini infatti che il regista parla di Eagle Pennell quando presenta il suo Last Night at the Alamo – la storia orgogliosamente anarchica di un gruppo di cowboy nell’ultima notte di apertura del loro bar preferito a Houston: come una potenzialità inespressa, una serie di film che non abbiamo mai potuto vedere. «Eagle era un personaggio larger than life, texano di sesta generazione, alcolizzato: tutti avevano una storia su di lui, una volta aveva perfino chiamato la polizia perché qualcuno gli aveva rubato la cocaina. Dopo Last Night la Warner Bros lo ha contattato per lavorare con lui, ma purtroppo si è giocato tutte le opportunità che ha avuto. Quando penso a Eagle penso ai film che avrebbe potuto realizzare… e che non hanno mai visto la luce».

Richard Linklater, Cinéaste du moment è il titolo del bel libro dedicato al regista in occasione della retrospettiva, che evoca il momento imprigionato, o lasciato fluire, dai suoi film. È il trascorrere del tempo nella «giornata particolare» e allo stesso tempo qualsiasi di Slacker, il momento dell’incontro di Jesse (Ethan Hawke, anche lui a Parigi con Linklater) e Celine (Julie Delpy) in Prima dell’alba e il suo protendersi negli anni: i 18 trascorsi dalla coppia cinematografica fino a Before Midnight – e il tempo impresso sui volti di Hawke e Delpy che mutano nelle fotografie scattategli da Linklater nel corso degli anni, esposti nella sala della mostra dedicata alla trilogia. O il tempo che racchiude il passaggio dall’infanzia all’adolescenza nei 12 anni in cui è stato girato Boyhood (2014), un film fatto, con le parole di Linklater, «non di grandi eventi ma di momenti, una collezione di piccole cose».

Attimi all’apparenza trascurabili ma che racchiudono tutte le potenzialità del futuro, quello su cui scommette il regista stesso decidendo di girare Boyhood: «In un progetto del genere stai ’collaborando’ con un futuro sconosciuto, ciò che accade nella vita di tutte le persone coinvolte: è un gigantesco atto di fede».

«HO SCOPERTO il cinema da solo – racconta ancora – in una piccola città come quella dell’Ultimo spettacolo. Per me la narrativa perfetta hollywoodiana era il ’nemico’ istintivo, non sarebbe mai stata in grado di esprimere ciò che cercavo di dire. In molti miei film questa struttura perfetta è sostituita da strutture temporali, storie in cui non accade niente di particolare e che mi consentono di esprimermi non attraverso la forma ma attraverso le persone, gli attori».

Il trascorrere del tempo è anche quello imprigionato nel film di montaggio del 1991 Heads I Win/Tails You Lose: 4 ore durante le quali scorrono le code di avviamento e fine rullo di tutti i film proiettati alla Austin Film Society, anche un omaggio «premonitore» all’epoca della pellicola soppiantata dal digitale nella decade successiva. E dal quale Linklater ha tratto Countdown, un collage che isola alcuni di questi frame e di cui quella esposta al Pompidou è la terza versione dopo quella al Museum of Moving Image di New York e quella nella hall del cinema della AFS.

E INFINE ci sono i 19 anni di riprese dei uno dei nuovi progetti di Linklater: Merrily We Roll Along – le riprese sono iniziate lo scorso agosto – tratto dal musical di Broadway e a sua volta basato sull’opera teatrale di George S. Kaufman: un’altra scommessa sul futuro e il suo potenziale. «Consideratevi invitati – scrive il regista nella presentazione del progetto alla mostra – all’anteprima mondiale di Merrily We Roll Along, mercoledì 16 novembre 2039, 150ennale della nascita di Kaufman e 58esimo anniversario del debutto del musical a Broadway. Le previsioni del tempo al momento non danno pioggia, ma il tempo e la data sono, come qualunque altra cosa a questo mondo, soggetti a cambiamento».