«Orsù vai, rompi gli indugi – dice Mercurio in sogno ad Enea, incitandolo a partire per l’Italia e ad abbandonare Didone – Cosa varia e mutevole è sempre la donna». Varium et mutabile semper femina, scrive Virgilio nel IV libro dell’Eneide. Quando aveva ventun anni e leggeva il poeta latino, Laura Marling decise di farsi tatuare la frase su una gamba, ma siccome era un po’ lunga, optò per le ultime due parole soltanto. Senza quegli aggettivi, il significato è completamente sovvertito e così Semper Femina diventa il titolo del suo nuovo album, in uscita il 10 marzo: nove canzoni acustiche prodotte senza fronzoli ma con sensibilità e il sostegno perfetto da Blake Mills (Alabama Shakes, John Legend), nove brani di cantautorato femminile di lucida intelligenza e sincera ispirazione.

Laura Marling è l’incarnazione della English Rose, la bellezza tipicamente inglese: bionda, carnagione chiara, lineamenti delicati, per giunta figlia di un baronetto. Il primo Sir Marling si occupava di tessuti e politica, il secondo era sceriffo di Gloucester, il terzo e il quarto erano militari. Il quinto, suo padre, è stato il più hippie di tutti: Sir Charles gestiva un piccolo studio di registrazione nella fattoria di famiglia nel Berkshire, un’impresa che fallì quando non passò al digitale. Nel 1990, a sei mesi, Laura gattonava sul groviglio di cavi generato dai Black Sabbath alle prese con la registrazione di Tyr. A cinque anni il padre la introdusse alla musica folk e al fingerpicking, instillando in lei quello sfasamento generazionale nei gusti musicali che forse è all’origine della sua precoce maturità e visione artistica: «Le mie influenze musicali femminili sono Joni Mitchell, ovviamente, Judee Sill, Karen Carpenter. I miei ascolti mi sembrano ovvi perché si sentono nella mia musica: sono sempre gli stessi venti dischi, qualsiasi cosa dal 1968 al 1971 finisce da qualche parte nelle mie canzoni».

Semper Femina è stato scritto e registrato a Los Angeles, in un momento particolare della sua vita: «C’è stato un periodo in cui ho abbandonato la sessualità. Ripensandoci, capisco che in realtà ero intossicata dalle circostanze, ma Los Angeles è una città che possiede un’abilità straordinaria nel rimuovere la sessualità. Ero spaventata da ciò che percepivo come la scomparsa del mio lato femminile, ma questo mi ha permesso di guardare le donne in modo diverso e di riflettere su come io stessa sono stata guardata». Wouldn’t you die to know how you’re seen? Non moriresti per sapere come ti vedono?, canta in Wild Fire.

Il punto di partenza è proprio lo sguardo: «Ho cominciato a scrivere come se fosse un uomo a parlare di una donna. Poi ho pensato: non è un uomo, sono io. Non ho bisogno di far finta che sia un uomo per giustificare l’intimità di come vedo le donne e i sentimenti che mi suscitano: provo una grande empatia per loro e quindi anche per me stessa».L’obiettivo che si pone è ambizioso: «Quando ero adolescente ero convinta che o eri un personaggio tragico e delicato oppure una musa. Entrambi sono ruoli orribilmente succubi, ma alla nostra cultura piace la donna tragica, è un modello che ci è stato ripetutamente inculcato e finora non ci sono stati sufficienti esempi alternativi. Il mio obiettivo principale è riscrivere l’idea della donna tragica».

Il disco è ispirato a tre donne straordinarie: la scultrice Camille Claudel, la pittrice surrealista Leonora Carrington e Lou Andreas-Salomé, psicanalista e scrittrice: «Lou Salomé è stata all’origine delle mie riflessioni sulla creatività femminile. Per lei la sessualità e l’energia sessuale di una donna sono in rapporto diretto con il suo potenziale creativo». Le canzoni di Semper Femina non approdano a risposte definitive: la grande padronanza dei mezzi espressivi fa sì che le canzoni viaggino su una superficie placida, sospinte dalla sua voce duttile e dalla chitarra, ma Laura è uno spirito inquieto. In Wild Once, nata in quella fase maschile in cui tra l’altro praticava trekking e arrampicata, canta l’archetipo della donna selvaggia: «Era un periodo in cui non riuscivo a trovare un centro, allora cercavo perlomeno di sfiorarlo correndo scalza in una foresta del Big Sur». Cosa che nessuno dei suoi antenati avrebbe potuto fare. Poco importa allora che, avendo avuto Sir Charles tre figlie femmine, non ci sarà un sesto baronetto Marling.