Pioveva sabbia in quei giorni a Pisa, portata da uno scirocco appiccicoso. Sabbia che coprì, simbolicamente, anche l’omicidio di un ragazzo di soli 26 anni, già laureato e futuro avvocato, il cui unico torto fu quello di ribellarsi alle pratiche di quotidiano nonnismo che scandivano la vita nella caserma Gamerra, centro di addestramento della brigata paracadutisti Folgore.
A diciotto anni dall’omicidio di Emanuele Scieri, a diciassette dalla chiusura con archiviazione di un’indagine condotta malissimo anche sul piano della strategia processuale, la Commissione parlamentare di inchiesta ha chiuso i suoi lavori chiedendo alla magistratura di indagare di nuovo. “Ci sono elementi concreti – anticipa Sofia Amoddio, presidente dem della commissione – per questo abbiamo presentato una richiesta motivata di riapertura delle indagini sulla morte del parà”.
Oltre Amoddio non va, anche perché alcune audizioni sono state secretate, a disposizione comunque della procura pisana. E la forzista Stefania Prestigiacomo, che della commissione è vicepresidente, puntualizza: “Qualcosa è successo sul pullman che quel 13 agosto 1999 ha trasferito Emanuele e altre reclute da Firenze alla caserma di Pisa. Sappiamo che i ragazzi sono stati fatti viaggiare in pieno agosto con i finestrini chiusi e il riscaldamento al massimo, nella posizione della sfinge. Lui probabilmente non accettava questi atti di sopruso”.
Per certo quella sera la recluta Scieri rientrò in caserma dopo la libera uscita. E il giovane siciliano aveva già anticipato ai superiori che aveva deciso di non fare più il parà nel corso del suo anno di militare. Se ne sarebbe andato dopo pochi giorni. Invece, nonostante più di un testimone avesse visto Scieri all’interno della Gamerra, al contrappello notturno non c’era. E, con una leggerezza inaudita per qualsiasi caserma, fu sbrigativamente dato per assente.
Tre lunghissimi giorni dopo, il cadavere del ragazzo fu “ritrovato” ai piedi della torre di asciugamento dei paracadute. A nemmeno cinque metri dal muro di cinta, che in ogni caserma dell’esercito viene pattugliato con regolarità dal Pao, Picchetto armato ordinario. Solo un muretto di nemmeno mezzo metro separava il corpo di Scieri dal percorso del Pao. Eppure in quei giorni nessuno si accorse del cadavere di un soldato, affidato dalla famiglia allo Stato per l’intera durata della leva. Sempre in quei giorni, lo scaglione dei congedanti lasciava la Gamerra.
La magistratura requirente non pensò ad una inchiesta per omicidio colposo. Sarebbe stata l’occasione per portare il caso davanti a un giudice in un processo pubblico, con la possibilità di interrogare testimoni in contraddittorio con le difese e le parti civili. Al contrario, l’allora procuratore Enzo Iannelli, con gran tintinnar di sciabole mediatiche, annunciò un’indagine per omicidio volontario. Destinata, vista la diffusa, cameratesca omertà del corpo, a chiudersi con un nulla di fatto. E senza processo pubblico.
Ora le testimonianze (circa 70 le audizioni) rese alla commissione, “hanno acclarato che nella Gamerra avvenivano gravi atti di violenza; che i controlli in caserma erano blandi, perfino dopo il contrappello, e diversi paracadutisti uscivano scavalcando il muro di cinta; che la zona dove è stato ritrovato il cadavere era isolata ma presidiata dagli anziani per rifugio e svago: uno spazio noto e tollerato dai comandanti”. Ma anche i commissari hanno notato una persistente cappa di omertà da parte di molti, tra i quali colui che all’epoca era il comandate della Folgore, il generale Enrico Celentano, protagonista di una strana ispezione – senza esito – alle 5.30 del mattino di Ferragosto 1999 . A distanza di 18 anni “c’è ancora una sorta di congiura del silenzio – osserva Massimo Baroni (M5S) – con relazioni che si sono rivitalizzate su facebook e twitter subito dopo la costituzione della commissione, forse per conformarsi nelle risposte da dare a noi”.