Tra la miriade di questioni in sospeso che si dovranno affrontare, speriamo prima della riapertura dell’anno scolastico, c’è anche quella dei pasti consumati a scuola. Non è cosa di poco conto, da qualsiasi parte la si voglia prendere, e per di più chi dovrebbe decidere non ha avuto per mesi le idee chiare. Nelle settimane scorse se ne erano sentite di ogni sorta: pasto in mensa, ma distanziati di un metro (ora calcolabile, secondo il Comitato Tecnico Scientifico, come distanza tra «le rime buccali degli alunni», cioè tra bocca e bocca); accesso alla mensa a turni (con relativa sanificazione tra un turno e l’altro); pranzo in classe, al proprio posto, attingendo da un contenitore personale; servizio erogabile in mensa solo mediante vassoi individuali sigillati; obbligo di mascherina, da togliere nel momento in cui si è seduti e da rimettere quando ci si alza.

C’è stato anche chi ha proposto la soluzione radicale e definitiva: pranzo a casa e rientro a scuola nel pomeriggio. Si ricaverebbero, tra l’altro, spazi aggiuntivi per dividere le classi troppo affollate… Quali che siano le soluzioni tecniche che pure si troveranno, rispettando le indicazioni ministeriali ma utilizzando anche una generosa dose di indispensabile buon senso, mi auguro che non si perdano di vista alcune questioni. La prima: l’importanza del tempo e dello spazio mensa come attività con grandi significati sociali (per molti bambini quello fatto a scuola è l’unico pasto decente della giornata) e formativi. Non è per caso che in mensa con i bambini e i ragazzi ci stiano le insegnanti, che sono in orario di servizio. La seconda: il ruolo della refezione scolastica come proposta di uno stile alimentare che promuova attivamente la salute. Non solo a breve termine, ma anche rispetto a squilibri e malattie che si manifesteranno magari dopo diversi decenni. Pediatri, nutrizionisti e autorità sanitarie ai più alti livelli non si stancano di ripetere da decenni che sovrappeso e obesità, diabete, patologie cardiovascolari, osteoporosi, tumori, demenze hanno le loro radici in abitudini apprese e comportamenti praticati fino dall’infanzia e dall’età scolare.
Secondo l’Oms (dati 2018), i bambini italiani sono quelli con uno dei più alti tassi di sovrappeso e obesità in Europa (42% i maschi e 38% le femmine). Da questo punto di vista, il pranzo a scuola avrebbe un ruolo fondamentale di prevenzione e perfino di cura. Beninteso, se di qualità e composto rispettando almeno le linee guida per la prevenzione del cancro, ma valide anche per chi semplicemente voglia rimanere in salute e ridurre il rischio per tutte le patologie appena citate. Linee guida aggiornate nel 2018 e consultabili sul sito del Word Cancer Research Fund (wcrf.org), reperibili anche in italiano (airc.it) e che coincidono sostanzialmente con il modello tradizionale della Dieta Mediterranea, basata sul largo consumo di cereali integrali, legumi, frutta e verdure, semi oleosi (noci, mandorle, ecc.) e piccole integrazioni di alimenti animali (pesce, carne, uova e latticini).

Occorre dire che quasi mai (con qualche lodevole eccezione) le indicazioni regionali sulle diete scolastiche sono sollecite nel tradurre in pratica le indicazioni del WCRF: a scuola si mangiano ancora pochi cereali integrali, pochi legumi, troppa carne (specialmente rossa), troppo tonno in scatola, mentre le agenzie regolatorie statunitensi EPA e FDA e l’europea EFSA raccomandano a donne incinte e bambini di limitare il consumo di tonno a causa dell’inquinamento da mercurio. Nei menu scolastici c’è troppo prosciutto cotto, che sembra un must irrinunciabile per dietiste e genitori, nonostante le indicazioni WRCF suggeriscano estrema prudenza nel consumo di carni conservate. E naturalmente ci sono troppi latticini. Quasi una invasione apparentemente inarrestabile tanto che, formulando una dieta per un bambino intollerante al latte e derivati partendo dal menu scolastico, ho dovuto modificare o dare indicazioni specifiche per quasi ogni piatto presente nel menu su base mensile.

D’altra parte, le verdure crude e cotte, pur presenti nelle proposte giornaliere, non sono di fatto consumate dai bambini e dai ragazzi come sarebbe utile e necessario. Spesso replicando a scuola le cattive abitudini di casa, anche per mancanza di una progettualità specifica su questi aspetti che, quando presente, produce sempre risultati positivi e spesso in una misura inaspettata. Ci sono, in Italia e nel mondo, esperienze confortanti su queste questioni che uniscono virtuosamente la formazione degli insegnanti, la coltivazione di frutta e verdure nell’orto scolastico, il coinvolgimento dei genitori e dei nonni, la riflessione in classe, l’esperienza in cucina, i manifesti con Bugs Banny a addobbare la mensa, le tovagliette di carta sui vassoi decorate con gigantografie di pomodori e fagioli, ecc. In rete, per insegnanti e genitori volonterosi, non mancano indicazioni e spunti preziosi.

Parlando di qualità, non è possibile tacere che da parte di molte amministrazioni comunali (che per legge devono garantire il servizio di refezione scolastica) è in atto una strategia dei piccoli passi che ha come obiettivo la chiusura delle cucine nei diversi plessi scolastici e la loro sostituzione con centri cottura centralizzati. Un servizio che quasi sempre, tra l’altro, è dato in appalto a ditte esterne. Le motivazioni addotte, ovviamente, sono le immancabili esigenze di bilancio: affidare all’esterno il servizio (attenzione, anche la somministrazione dei pasti è a cura di personale che arriva da fuori, con la pastasciutta) costa meno. Almeno così si dice. La qualità del pasto non può che calare: al di là della pasta scotta o ancora cruda, delle diete speciali per i singoli alunni che vengono recepite talvolta con molti giorni di ritardo, delle uova sode che arrivano già sgusciate e confezionate sottovuoto, al di là di questo (e di molto altro) c’è la decisione di aver trasformato, senza dirlo, una esperienza pedagogicamente importante in un servizio «a domanda individuale» (a norma di legge, beninteso). Il quale, dunque, deve sottostare a leggi economiche che oggi sembrano indiscutibili. Ci sono segnali di un ripensamento e molte amministrazioni comunali stanno facendo, su questa questione, marcia indietro. In ogni caso, le mobilitazioni di genitori e insegnanti per ottenere la riapertura delle cucine nelle scuole va decisamente sostenuta.