Non una di meno Napoli dà appuntamento su Zoom (il link sulla pagina facebook) oggi pomeriggio per discutere della chiusura dei centri antiviolenza in città. «Le case non sono un luogo sicuro per tutt* – scrivono -, è lì che avviene circa il 70% dei femminicidi, gli abusi sui bambini, le violenze sulle persone lgbtqi+. Le chiamate al 1522 sono aumentate del 119% tra marzo e giugno 2020».

Rosa Di Matteo fa parte di Arcidonna, la prima associazione che ha aperto un centro antiviolenza a Napoli: «Per decenni, con realtà come Le Cassandre, Maddalena o Dream team, abbiamo fornito aiuto e sostegno poi è nato il Piano antiviolenza nazionale, la politica ha scelto di seguire la via del mercato con bandi assegnanti a enti che facevano altre cose. Si sono fatti strada in un nuovo settore seguendo criteri commerciali». Tre anni fa il comune di Napoli aveva 5 sportelli antiviolenza, a dicembre 2019 il bando è scaduto, l’ente che li gestiva ha proseguito per un po’ tenendone aperto solo uno. Da luglio è chiuso anche quello.

Tania lavora nella Casa rifugio Fiorinda: «Le ultime donne accolte prima del lockdown di marzo ci dicevano: “Menomale che sono scappata prima, altrimenti sarei morta”. A Napoli ci siamo solo noi con 6 posti letto, in Campania ci sono 13 case rifugio per 80 posti, molto al di sotto di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Il nostro finanziamento scade a dicembre così come la convenzione con le altre strutture regionali. Dal primo gennaio che fine faranno le persone che hanno bisogno di protezione?».