All’indomani del 1977 su «I Volsci», la rivista dei Comitati autonomi operai, i militanti romani si difendevano in questo modo dalle polemiche contro i violenti in passamontagna: «Per il potere, è meglio avere un movimento responsabile ed ordinato ed un altrettanto ordinato e circoscritto “partito armato”, che un disordinato movimento un po’ di massa, un po’ violento, un po’ illegale e anche un po’ armato». Il gioco di parole, che riflette il linguaggio sarcastico del gruppo, può essere assunto come la chiave di lettura della densa ricostruzione che Salvatore Corasaniti ha dedicato alla storia degli autonomi nella Capitale (Volsci. I Comitati autonomi operai romani negli anni Settanta (1971-1980), Le Monnier, pp. 336, euro 25).

Nel cantiere degli studi sull’autonomia operaia – un’«area fatta di collettivi, comitati e strutture che non conobbe, se non per brevi fasi, momenti di composizione nazionale» – il libro si distingue in primo luogo per il rigore del metodo storico, fondato sull’analisi incrociata dei documenti presso l’archivio di Radio Onda Rossa (la radio «libera» dell’autonomia capitolina) e l’Archivio dei movimenti di Roma con quelli delle istituzioni pubbliche, dei partiti e con la stampa nazionale.

L’AUTORE, che non ha vissuto gli anni Settanta, si pone al di fuori del culto dei testimoni. Nello stesso tempo, attingendo a un repertorio sempre più ricco di studi, decostruisce la retorica sugli «anni di piombo» in cui il decennio rimane ancora oggi imprigionato. Ripercorrendo le vicende dei Cao, nati nel 1971 dai collettivi nei servizi e dall’incontro con studenti e disoccupati, Corasaniti restituisce la dimensione politica, la mentalità, il vissuto di un’esperienza che non può essere compresa se estrapolata dalla sue molteplici cornici: la difficile eredità del ’68; la discontinuità politica introdotta dall’operaismo; i contrasti nella sovrapposizione delle generazioni politiche; la rottura definitiva con le istituzioni del movimento operaio; e, infine, lo scenario dell’Urbe, la metropoli sotto-industrializzata e piagata da precarietà ed emergenze abitative.

L’autonomia raccoglie i frutti della fine di Potere Operaio e Lotta Continua ma, a differenza dei veneti, i militanti romani non hanno dei teorici di riferimento. «I vari Pifano, Miliucci, Taviani corrispondono per lo più a figure di capipopolo». Prevale la dimensione dell’azione diretta, per la casa, sulle tariffe elettriche e telefoniche, per i servizi pubblici essenziali.

RIAPPROPRIAZIONE, sottrazione e contropotere sono tre parole chiave. L’esplosione è nel 77, l’anno della «cacciata» di Lama dalla Sapienza, in un movimento popolato da anime diverse. Come dimostra l’esperienza di Radio Onda Rossa (con i microfoni liberi, lo sberleffo politico, etc), non c’è barriera tra ala creativa e militante.
Non mancano però le tensioni con il movimento neo-femminista e lo scontro frontale con le sinistre partitiche: gli autonomi esercitano attrazione, ma operano anche per forzature.

Le forme della violenza sono quindi un nodo con cui fare i conti. Fino al 1975, l’anno della legge Reale, l’intenzionalità omicida rimane prerogativa dei neofascisti. L’escalation è scandita da una serie di episodi clamorosi: gli scontri del 12 marzo 1977; l’uccisione di Giorgiana Masi, e via a salire fino allo spartiacque dell’omicidio di Moro, interpretato dagli autonomi come un errore tattico e strategico, ma senza esprimere una condanna morale e politica. Del resto, da subito l’autonomia rivendica la violenza collettiva, financo armata, come strumento.

La dialettica azione-repressione alimenta lo scontro, ma non ne costituisce la radice. I militanti romani non organizzano la lotta armata clandestina, ma giustificano sia l’utilizzo delle armi nei cortei sia la rappresaglia nei confronti dei fascisti. Sulla scia delle teorie secolarizzate sulla «guerra giusta», Corasaniti dedica pagine acute alle modalità di legittimazione del ricorso alle armi: nelle piazze, come necessità «difensiva» o «reattiva», per «riequilibrare i rapporti di forza», e contro i fascisti, rispetto ai quali è considerata legittima anche l’azione «offensiva», fino al ricorso alla rappresaglia come per l’«eccidio di Acca Larentia» o dopo l’assassinio di Valerio Verbano.

EPISODI, sia chiaro, che non sono riconducibili materialmente ai Cao. In questo contesto si sviluppa anche la «dialettica con le Br che, da una posizione di estraneità, ma di sostanziale condiscendenza, giunge allo scontro aperto e alle minacce esplicite».
Senza scambiare la storia dell’autonomia operaia con quella di una generazione, Corasaniti storicizza schemi politici e autorappresentazioni aprendo nuove piste di indagine e riflessione.