È possibile ascoltare nello stesso concerto un aria del Seicento di Monteverdi e poco dopo un blues dello scorso secolo a firma di Sister Rosetta Tharpe, traendo da ambedue le esecuzioni una scossa emotiva di rara potenza e bellezza. Accade se si assiste al concerto di una stella di prima grandezza della scena african american attuale. Lei è la cantante e polistrumentista Rhiannon Giddens, che assieme al pianista e percussionista Francesco Turrisi, prima che l’onda del Covid-19 travolgesse tutto e tutti, si è esibita in due date andate esaurite al Folk Club di Torino, in occasione del tour di presentazione del loro album There Is No Other. Disco uscito a metà 2019 esattamente come l’altro progetto in cui è coinvolta, il super gruppo Our Native Daughters, a conferma di come lo scorso anno sia stato significativo per la musicista del North Carolina.

«OND nasce dalla mia idea di raccontare alcuni eventi storici avvenuti negli Stati uniti, mettendo insieme elementi, artefatti e citazioni scritte durante il periodo della schiavitù. Mentre stavo lavorando con Dirk Powell, un importante produttore di americana sound, abbiamo scelto insieme le musiciste con le quali sviluppare il progetto delle Daughters: è così che ho iniziato a collaborare con Amythyst Kiah, Leyla McCalla e Allison Russell. Quando ci siamo riunite, credo che nessuna immaginasse quanto sarebbe stato importante per tutte noi. Sai, quando sei una donna nera e suoni musica folk e americana negli Usa, di solito sei la sola nella stanza. Posso dirti che l’idea di incontrarci è simile a quella che ha portato alla formazione dei Carolina Chocolate Drops. Perché c’è un grande potere, una grande forza, nello stare assieme e fortunatamente, il pubblico ha accolto molto bene l’album».

LA CONFERMA delle parole della Giddens è arrivata anche dalla critica, come dimostra la nomination ricevuta nella categoria Best American Roots Song all’ultima edizione dei Grammy Awards per il brano Black Myself che apre il disco delle Daughters. Che la combinazione tra la forza della collettività e la creatività artistica sia un elemento imprescindibile del suo modus operandi è un dato indiscutibile. Lo dimostra la nascita di There Is No Other, un autentico crocevia di tradizioni folkloriche provenienti sia dal mondo african american che da quello europeo: si tratta di sedici incisioni in cui i due protagonisti hanno fatto collimare al meglio le proprie origini e caratteristiche. E lo stesso incontro tra Turrisi e Giddens è rintracciabile in questa direzione, come spiega lei stessa: «Abbiamo riscontrato molte somiglianze nelle rispettive storie di vita, anche se c’era un intero oceano a separarci. Troviamo che sia veramente un racconto universale quello delle persone che spostandosi da un luogo ad un altro, arrivano ad influenzarsi vicendevolmente entrando in contatto: da Sud a Nord, da Est a Ovest, ogni paese e continente ha le proprie storie di migrazioni interne ed esterne che lo connette con il resto del mondo». L’alterità diviene quindi il cardine del progetto discografico, come chiarisce ulteriormente il musicista italiano: «Nel titolo esprimiamo il concetto alla base del disco, usando il verbo inglese othering, ovvero l’idea di rendere una persona l’altro. Molti non lo comprendono, credono che There Is No Other abbia un significato quasi romantico. Non è così: noi intendiamo l’altro, come il diverso da sé».

CHIOSA Rhiannon Giddens: «Non abbiamo nessuna intenzione di dire “Oh! Amiamoci l’un con l’altro”, vogliamo invece ribadire che siamo tutti uguali». Che l’empatia tra i due musicisti sia rilevante lo si ravvisa durante tutto il concerto, sia nei passaggi più delicati come l’emozionante versione di Dido’s Lament: When I Am Laid In Earth in cui il pianoforte di Turrisi e la voce di lei toccano vette altissime, sia quando il tradizionale The Wayfaring Stranger riempie la sala di folk e spiritual grazie alla fisarmonica dell’italiano e al banjo della statunitense. Altrettanto accade quando con Oh Death di Bessie Smith e la hit Julie, il duo entra integralmente nella parte più viscerale e bluesy della performance, grazie anche all’utilizzo di vari tamburi a cornice di Turrisi, strumenti caratterizzanti del loro sound: «Siamo entrambi ricercatori amatoriali, ci piace scavare nella storia della musica. Un giorno, mentre Rhiannon stava suonando una cosa in stile mistrel banjo, mi sono agganciato con il tamburello. Siamo andati avanti a suonare e successivamente, abbiamo postato un video di quanto fatto. Qualcuno ci ha commentato che il tamburello era molto popolare nelle band di menestrelli. Da questo, siamo partiti con una ricerca che ci ha portato a scoprire probabili contatti tra la musica inglese della prima metà del 1800 e stili di tamburello coevi nel sud Italia, grazie alle bande musicali militari, che in connessione con le brass band locali, influenzandosi reciprocamente, finirono per rendere popolare il tamburello, addirittura nell’aristocrazia femminile del tempo».

LA CONCLUSIONE del concerto è affidata ad una meravigliosa interpretazione cantata in italiano di E Se Domani di Mina,: «Al pubblico piace conoscere le storie. Ed in questo periodo difficile e complicato per il mondo intero, credo sia importante domandarsi quale sia il ruolo dell’arte e in particolare il nostro. È qualcosa su cui ho riflettuto molto perché a volte l’arte rappresenta l’unico canale per esprimere idee. Quindi diventa importante raccontare storie, da cui le persone possano trarre ispirazione».