È difficile raccontare il binomio RezzaMastrella (Antonio Rezza/Flavia Mastrella). La girandola di definizioni, pur ingrandendo la propria rosa, continua a mancare di questo Giano Bifronte della scena spettacolare, che in ogni sua espressione porta avanti una rigorosa destrutturazione delle forme (teatrale, cinematografica, televisiva, letteraria): l’esistenza della regola per RezzaMastrella significa la possibilità di scoprire nuove prospettive. Impossibile provare a inquadrare il loro gesto artistico, latitante e performativo, febbrile e volutamente frammentario che, come loro stessi hanno scritto nelle pagine di Clamori al vento. L’arte, la vita, i miracoli (ed. Il Saggiatore): «Rinuncia al filo del discorso, che poi è lo stesso filo che ti strozza».

In questi giorni RezzaMastrella sono a Milano (fino al 28) per presentare, al Teatro Elfo Puccini, Anelante, la loro ultima creazione teatrale, diversa eppure in continuità con ciò che è stato, ordigno spettacolare antirappresentativo in cui cresce il numero dei performer in scena – stavolta addirittura quattro oltre a Rezza – coinvolti in azioni scenodinamiche, e capaci all’occorrenza di trasformarsi in una motorumorosa orchestra futurista). In contemporanea (al cinema Beltrade) Flavia e Antonio hanno presentato due dei loro film (parte di una produzione accuratamente selvaggia di corti e cortissimi metraggi che ha un inizio simultaneo con quella teatrale): Confusus (Gabbiano d’oro a Bellaria Anteprima 1993), e Troppolitani Fuori Dove?.

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Il primo dei due lavori dà un’immagine immediata, netta della loro idea di cinema: votato all’autogestione e realizzato in condizioni produttive alternative, che poggia sull’equilibrio precario, sull’asimmetria di una telecamera fuori bolla. Che non è mai perpendicolare con il terreno ma sempre storta, perfetta sintesi di un decentramento che è la cifra dominante della composizione (non c’è sincronia tra labiale e immagine, il montaggio smette la logica, la sequenzialità e la spazialità…).

Il secondo, che formalmente recupera certe soluzioni fuori asse appena delineate (affianco a una telecamera professionale si intrufola in maniera gammaticalmente scorretta una handycam digitale gestita da Flavia), è un’indagine intorno al disagio psichico, realizzato durante Fuori Dove? (2009), una manifestazione dedicata alla salute mentale. La formula è quella delle (non) interviste in transito. Antonio insegue col braccio proteso, la mano che abbranca e arrotola un microfono per registrare le frasi della gente che passa. Intrusioni nella vita anonima di tutti i giorni, nei gesti, ma soprattutto nelle parole quotidiane, che troppo spesso si sviliscono in un lessico ordinario, che condizionano (in quanto ingabbiano in schemi mentali) e diventano espressione di un pensiero stupido, violento, sostanzialmente volgare.

Antonio aggredisce il luogo comune (che significa trionfo del si del «si dice», del gergo, della convenzione, della mistificazione) costringendo l’intervistato a prendere coscienza dei cliché a cui troppo spesso fa affidamento delegandogli i propri ragionamenti. Entrambi i film costringono a guardare in faccia l’apocalisse in atto di fronte alla quale, forse, non resta che «ridere del nostro quotidiano su cose superflue ma necessarie». E come Rezza e Mastrella dicono: «È sicuramente una cura per il cervello, che si ricrea ossigenando i muscoli della critica».

Scrive Angelo Guglielmi che «Antonio Rezza è un prepotente e un disturbatore; è un manesco che ti fa i lividi che tuttavia quando guariscono quel sangue che ti ha fatto la pelle nera (livida) ti accorgi che è un sangue nuovo che come in una trasfusione ti ha dato una (pur breve) salute. Farsi bastonare (maltrattare) da Rezza non è masochismo, è piuttosto un utile esercizio».