Sulla carta la crisi dovrebbe concludersi martedì al Senato. Potrebbe invece limitarsi a entrare in una nuova fase. Il problema è semplice: i costruttori non ci sono e se non si materializzeranno nelle prossime ore la coalizione di governo dovrà fare i conti con un quadro numerico e politico molto diverso da quello che si aspettava. In questa situazione, secondo alcune voci, non è escluso che Conte decida di evitare il passaggio al Senato per dimettersi subito dopo aver incassato la fiducia alla Camera. Palazzo Chigi però smentisce.

Conte, assicurano, è deciso ad andare avanti comunque, anche con un governo non solo di minoranza ma di minoranza esigua, limitata a 151-53 senatori. Solo di quelli ieri sera poteva essere dato per certo il voto.

In ogni caso, argomentano nello stato maggiore del premier, la fiducia ci sarebbe comunque, grazie all’astensione non ancora ufficializzata ma già certa dei renziani. Il governo potrebbe andare avanti comunque, tanto in questa fase di emergenza il Parlamento conta ben poco, anche se di fronte a numeri così esigui vacillerebbero persino le certezze del Pd e forse anche del Colle,

Ieri mattina circolava ancora un certo ottimismo. Sembrava che la pattuglia dell’Udc fosse a un passo dal saltare il fosso e si sarebbe trattato di un risultato fondamentale non solo sul piano numerico ma anche su quello politico. L’intera operazione si sarebbe configurata come un progetto politico, un allargamento della maggioranza a forze diverse ma omogenee invece che il soccorso di un mucchio selvaggio e incontrollabile. Niente da fare. All’ora di pranzo il leader dell’Udc Cesa annuncia la scelta opposta. Le defezioni azzurre sono incerte. Nencini , alla fine, decide anche lui di restare con Renzi.

Se passasse per un pelo Conte avrebbe di fronte alcune settimane per cercare di costruire i costruttori, dopo le quali lo stesso Pd ritiene che non avrebbe senso provare ad andare avanti. Ma con un sostegno parlamentare di base troppo esiguo il richiamo sarebbe debole e la partita compromessa in partenza. Può sembrare assurdo che in una situazione tanto drammatico si facciano i conti sulle unità, eppure è proprio così: il quadro con 157-158 senatori a favore sarebbe non diverso ma opposto da quello che presentasse solo 152-153 voti.

Ma il rischio che finisca proprio così c’è ed è per questo che nel vertice di maggioranza di oggi potrebbe rispuntare il Conte ter. A quel punto per i potenziali «costruttori» la partita diventerebbe molto più appetibile: nuovo governo vuol dire anche nuovi posti. Quel che sembra destinato a fallire oggi potrebbe rivelarsi possibile già domani.

I 5S, che ieri hanno riunito il loro vertice tenendosi in stretto contatto col premier, sarebbero pronti. Si rendono conto che senza i costruttori il governo non affonderebbe ma avrebbe probabilmente vita breve. Sanno che per la loro truppa la priorità assoluta è evitare le elezioni anticipate e che dagli spalti dei costruttori papabili sono arrivate richieste in questo senso. La spina si chiama tanto per cambiare Renzi, che non a caso ieri giubilava e, dopo aver evitato con l’astensione il rischio di spaccatura del gruppo, ammoniva i suoi: «Senza di noi stanno tra i 150 e i 152 voti. Restiamo uniti». L’intenzione di rientrare in partita trattando il rientro in maggioranza è conclamata.

In teoria è un’eventualità che tutti negano. LeU è contrarissima. «Dialogo impossibile», taglia corto la capogruppo De Petris. Per i 5S impedire il rientro di Renzi è fondamentale. È su quella scelta drastica che si basa la pace nel Movimento. Di Maio si sarebbe anzi impegnato formalmente con Di Battista, che a questo punto pensa addirittura di entrare nel governo. Se la decisione crollasse, la guerra civile nel Movimento tornerebbe a esplodere seduta stante. Ma gli interessi del vertice e quelli della molto meno garantita base parlamentare divergono e ieri qualche crepa si è iniziata a manifestare. Qualcuno, protetto dall’anonimato, sbotta: «I Responsabili non esistono. Bisogna trovare il modo di ricucire lo strappo con Iv».

Il vero anello debole però è il Pd. Ufficialmente non ci sono dubbi: con Renzi il capitolo è chiuso. Però al Pd l’idea del Conte ter non dispiace affatto. Sarebbe il solo modo per garantirsi quel «nuovo patto di legislatura» che Zingaretti e Orlando invocano due o tre volte al giorno. Ma aprire quella porta significa inevitabilmente rimettere in gioco Renzi. Perché i Responsabili per un terzo governo Conte forse ci saranno e forse no. I 18 senatori di Iv ci sono certamente.