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Resistere alla crisi tra le isole greche

Resistere alla crisi tra le isole greche

Reportage Storie di ordinaria sopravvivenza, un report sulla quotidianità dell’attuale crisi greca, da Ioannina, a Skiathos, a Skopelos: le esperienze di studenti, imbianchini e imprenditori, presidenti di cooperative, ex marinai e architetti

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 28 settembre 2013

Helmut si lamenta. Lo fa con una certa ironia, ma l’amarezza e lo stupore sono quelli di un tedesco che non capisce proprio perché i greci potrebbero avercela con lui. È uscito per primo con la sua Mercedes classe C, ma i manovratori del porto di Igoumenitsa lo mettono in attesa, facendogli passare avanti molte auto con targa greca. Helmut ha 54 anni, e dirige una piccola azienda in un paesino vicino a Weinheim, a sud di Francoforte, nella Germania ricca e operosa. In auto ci sono la moglie e una figlia. E adesso aspettano il “turno tedesco” per approdare in Grecia.

C’è chi arriva e c’è chi parte. Vassili ha tredici anni. Vive a Ioannina, una città della Grecia continentale, piazzata in mezzo al nulla, tra la costa che guarda il Mar Ionio e le famose Meteore. Tra poco comincerà il liceo e i genitori hanno pensato di regalargli un viaggio, prima che cominci il suo percorso verso la maturità. Cinque giorni: due e mezzo in Italia, altrettanti in traghetto. La cinghia corta della crisi economica greca permette solo questo. Così sono riusciti a imbarcarsi verso Ancona, con una traversata di 16 ore. Vassili è curioso di andare in Italia. È affascinato da Pompei, dove si fermerà un giorno intero, poi un giorno e mezzo a Roma e di nuovo sul traghetto per tornare a casa. Il padre di Vassili è macellaio e la madre insegnante. Una famiglia greca che resiste ai tagli e al freno dei consumi, e riesce con fatica a mettere in piedi una vacanza per il figlio, con la madre che quasi si vergogna a dire che quella vacanza così entusiasmante per suo figlio sarà così breve.

Eppure tutto questo è oro per Spiros Mamourelis. È seduto a una tavernaki (una tipica osteria greca a buon prezzo) e cena con un piatto di gavros, cioè acciughe alla brace, sul retro del lungomare di Volos, il porto che dà accesso alle isole Sporadi. È partito la mattina dall’isola di Skiathos, per accompagnare la moglie inglese all’ospedale. Lei ha subìto un’operazione e lui, dopo esserle stato accanto tutto il giorno, si prende due ore di calma e un po’ di brezza marina, seduto a tavola. “Facevo l’imbianchino – dice – ma adesso non lavoro più. Nessuno, nemmeno i tedeschi e i danesi che hanno la casa di villeggiatura a Skiathos mi danno da lavorare. Fino allo scorso anno mi chiamavano a ripitturare qualche piccolo hotel dell’isola, ma ora niente. Viviamo con le verdure dell’orto. Qualche euro ci arriva da alcune famiglie di Copenhagen che hanno incaricato mia moglie di tenere una specie di canile sulla nostra isola. Le vacanze sono anni che non possiamo permettercele. Ormai io e mia moglie siamo anziani e possiamo resistere, ma i giovani greci? Che succederà tra qualche anno? Qui non è come in Italia che avete tante industrie e anche piccole imprese, noi non abbiamo industrie, non abbiamo niente”.

Spiros rientrerà a Skiathos tra due giorni, con la moglie convalescente e lì proseguirà il loro tran-tran di povertà quotidiana. Almeno abitano su un’isola che vive intensamente di turismo: è chiamata la Ibiza dell’Egeo. E dove l’orto assicura il sostentamento necessario si conduce una vita migliore che nelle grandi città. Atene e Salonicco, da sole, accolgono oltre la metà degli abitanti greci che sono circa 10 milioni. E in queste realtà urbane è difficile contrastare la crescente povertà, mentre nelle isole e in campagna si tira avanti meglio.

Davanti a Skiathos c’è un’altra isola, si chiama Skopelos e qui il turismo non fa grandi numeri, perciò si prova un certo stupore nel concepire l’attaccamento a questo luogo da parte dei suoi abitanti. È una delle rare isole greche piena di verde: alberi, boschi, macchia mediterranea. È per questo che fino a prima della Seconda Guerra Mondiale ospitava uno dei cantieri navali più grandi dell’Egeo, perché le navi erano ancora in larga parte di legno da queste parti, e qui di legno ce n’era tanto. Poi Skopelos si riciclò come l’isola delle prugne e dell’ulivo. E ancora oggi sono queste coltivazioni le attività di un certo rilievo, anche se la crisi economica – al di là dei parametri governativi – morde ancora con forza la vita quotidiana della gente.

Iannis Goumas ha 57 anni e conduce un’impresa edile. L’ultima casa che ha costruito risale al 2010, per conto di un medico milanese innamorato di Skopelos. Poi soltanto lavoretti, fino al fermo dello scorso autunno. “Non si muove foglia – racconta – e sto pensando di restaurare una vecchia casupola in collina che ho ereditato da mio zio. Mi rimangono pochi soldi e sto pensando di investirli per mettere in piedi una specie di piccolo agriturismo, dove ospitare i turisti e dar loro da mangiare i prodotti della mia terra: pomodori, peperoni, melanzane, prugne, polli. Per fortuna il lavoro della campagna dà da mangiare a me e ai miei tre figli, altrimenti sarei disperato. A volte penso che dovrei investire i pochi soldi che mi rimangono in questo agriturismo, altre volte mi chiedo chi me lo fa fare. Il dubbio è come una croce che mi porto addosso, ma la paura di restare senza niente è ancora più atroce”.

Vicino alla casetta in collina Iannis ha ereditato anche una piccola cappella di famiglia, una specie di chiesetta in miniatura dove “spesso – confessa sottovoce – vado a pregare, ma non so nemmeno io chi e cosa”. Sì, perché a Skopelos c’è una buona parte di popolazione che è sempre stata di sinistra e la religione è vista più come una tradizione popolare legata ai cicli della natura. Skopelos, infatti, in passato era definita “covo di comunisti” perché negli anni Trenta e durante il regime dei colonnelli era il posto dove venivano esiliati i dissidenti politici di sinistra. La storia di un altro Iannis è esemplare in questo senso. Lui oggi accusa il liberismo imperante: “C’è stata una degenerazione della politica. E negli ultimi venti anni i governi di Atene che si sono succeduti non hanno fatto niente per favorire l’impresa e il lavoro”. Si chiama Iannis Trahanas, ex-comunista e presidente della cooperativa agricola di Skopelos. La sua vita è stata spesa per la valorizzazione collettiva dell’agricoltura locale e per l’impresa cooperativistica: una specie di Carlo Petrini greco, ottimista e instancabile motivatore, ma con mezzi infinitamente minori e in una realtà molto più difficile di quella del patron di slow-food.

Dal 1981 al 1990, col governo socialista del Pasok, la cooperativa riuscì a entrare nei programmi di finanziamento mediterranei e questo faceva un gran bene all’economia di Skopelos. Nel primo quadriennio il governo socialista aiutò le cooperative: “Negli anni buoni – dice Trahanas – si esportavano anche 750 tonnellate di olio e 1500 tonnellate di olive”. Purtroppo questo periodo finì quando l’Unione Europea cominciò a fissare delle norme che equiparavano le coop alle altre aziende private e decise che ogni Paese dell’Unione poteva produrre soltanto una quota programmata e definita in precedenza di prodotti alimentari: la Grecia così non poteva più vendere da sola tutto il suo olio, perché aveva ricevuto una quota bassa di esportazione e dunque la maggior parte della sua produzione veniva venduta all’Italia.

Nel 2007 la cooperativa agricola di Skopelos diventò concorrenziale e provò a stare sul mercato, senza favoritismi e lavorando con tutti. Ultimamente i soci hanno messo a disposizione anche i loro risparmi e hanno edificato il nuovo frantoio, su un’area di 6000 mq. “Abbiamo investito in un periodo di fortissima recessione – spiega Trahanas – e adesso abbiamo bisogno di finanziamenti. Abbiamo chiesto soldi alla UE, tramite lo Stato, per le forniture dello stabilimento e per comprare i macchinari. Finora per sostenerci stiamo affittando i vecchi locali del frantoio, che è sul lungomare, alle attività commerciali come bar e ristoranti per turisti”. A giugno di quest’anno il governo ha risposto che si poteva procedere con la concessione del finanziamento. Ma i coltivatori di Skopelos devono ancora aspettare le pratiche burocratiche e intanto pagano circa 30mila euro di tasse all’anno che è una cifra altissima per il posto. “Io lotto per il nuovo frantoio – dice – perché con quello potremmo anche cominciare a imbottigliare l’olio direttamente qui, a Skopelos. In tempi di crisi bisogna investire. È proprio ora che si deve ripartire dal prodotto. Ho già convinto i ristoratori di Skopelos a usare solo l’olio prodotto dalla cooperativa. E al vecchio frantoio, in centro, voglio fare un museo dell’olio con le vecchie foto e i filmati e con la vendita dei prodotti tipici per i turisti”.

Fuma una sigaretta dietro l’altra Trahanas. È nato nel 1948 sull’isola e oggi dice: “Non c’è via di uscita dalla crisi greca se le società non modificano modelli di impresa e di sviluppo. La crisi greca è un inganno: una cosa è chi non ha voglia di lavorare e quindi non ha soldi, un’altra è come succede a noi che si lavora come ciuchi e non siamo pagati. Io, se mi sento male, non ho soldi per andare a curarmi all’ospedale di Volos, sul continente. Ma sono greco. Questo è il mio posto”.

E Skopelos è anche il posto di Christos Chrissofos, un ex-marinaio di 73 anni. È sempre stato un individualista, con simpatie politiche per la destra. Adesso è presidente del KAPI di Skopelos, il Centro di Protezione Aperta per Anziani, un fondo commerciale con un piccolo bar per i soci e qualche tavolino sul lungomare, dove i vecchi del posto si ritrovano e bevono lo tsipouro, una specie di grappa. Christos è nato per strada, sotto i bombardamenti dei tedeschi (che colpirono con violenza Larissa, Trikala e il porto di Skopelos), vicino a una chiesa sulla Ring Road. Dopo una vita passata in giro per il Mondo, sulle rotte commerciali di tante navi cargo Christos è tornato a vivere a Skopelos: “Ho sei fratelli e due figli e la famiglia è tutto per me – spiega –. Sono nato qui, sono tornato a viverci e voglio morire qui. Ora c’è la crisi in Grecia ma la colpa è di tutti, non solo dei politici. Tutti i cittadini greci hanno approfittato dei soldi pubblici. Mi hanno diminuito la pensione e prendo 3.000 euro in meno all’anno. È giusto che io dia la mia parte di soldi. Se è vero quello che dicono allora tutti dobbiamo contribuire per lo Stato”.

Non è d’accordo sulla riduzione così esosa delle pensioni una importante architetta di Salonicco. Yota Zahopulo ha cessato l’attività da pochi anni, ma nella sua carriera ha progettato, tra l’altro, le aree di servizio della nuovissima autostrada greca Egnatia che collega il Mar Ionio con la Turchia e che è stata costruita una decina di anni fa con i finanziamenti dell’Unione Europea. Dal 2010 a oggi la sua pensione è passata da circa 2.300 euro a poco più di 1.100 euro al mese: “I dipendenti pubblici sono a rischio, è vero, ma sulle pensioni degli ex-professionisti – sostiene – hanno calcato troppo la mano. In città non si riesce a tirare avanti. E io me la cavo perché ho ancora mia madre e abbiamo due entrate mensili. Ma devo assolutamente riuscire a vendere una casa che avevo costruito su un’isola perché quella che anni fa poteva essere una risorsa adesso è la cosa che mi fa penare. Mi converrebbe regalarla piuttosto che tenerla ancora”. A guardare la Grecia da Salonicco c’è da pensare che anche i regali hanno un costo da queste parti: ci sono tanti palazzi di edilizia popolare degli anni Sessanta abbandonati che cadono a pezzi. Il costo delle abitazioni è sceso di oltre la metà, ma nessuno ha tempo per soffermarsi su tali occasioni, su certi “regali”. C’è da pensare a come mettere insieme il pranzo con la cena.

 

 

 

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