In Brasile, l’agricoltura industriale è il risultato di un processo storico che si è strutturato attraverso lo sfruttamento di grandi latifondi coltivati a monocoltura e l’uso della violenza contro le popolazioni indigene, le comunità tradizionali e i popoli rurali, con l’espropriazione dei loro territori e l’eliminazione dei loro sistemi di sussistenza. Il modello di produzione agricola industriale ha avuto effetti negativi sulla società e l’ambiente. Il suo consolidamento ha causato l’espulsione delle comunità tradizionali e rurali dalle campagne per far posto alle monocolture di mais, soia, cotone e canna da zucchero. Secondo i dati del Censo Agropecuàrio del 2017, meno del 20% della terra rimane nelle mani dei contadini rurali, che tuttavia rappresentano più dell’80% degli agricoltori. L’agricoltura industriale rappresenta una minaccia anche per le famiglie dei piccoli contadini e i popoli indigeni. Nel 2017, secondo il rapporto annuale Relatorio de Conflitos no Campo (Comissào Pastoral da Terra), 307 famiglie sono state espulse dalle loro terre, 28 contadini uccisi, 27 torturati, 167 hanno ricevuto minacce di morte e 1.465 sono stati identificati come schiavi.

L’uso di pesticidi e la coltivazione di semi transgenici, inoltre, minacciano la salute delle persone, l’acqua e il cibo. Da oltre un decennio, il Brasile è il maggior consumatore di pesticidi al mondo: nel 2017, sono state consumate 539,9 mila tonnellate di principi attivi di pesticidi, più del 45% in glifosato mentre nella prima metà del 2019, sono stati approvati circa 240 nuovi pesticidi da utilizzare nei campi del paese, molti dei quali vietati in Europa e altrove.
La maggior parte dei pesticidi è impiegata nella coltivazione di OGM. Nel 2016, il Brasile aveva 41,9 milioni di ettari di colture di sementi transgeniche, il che rende il paese il secondo maggior produttore di transgenici al mondo.

Le famiglie di contadini rurali in Brasile sono le vere protagoniste della produzione del cibo consumato nel paese. Sono responsabili per la produzione del 70% dei fagioli, del 34% del riso, dell’87% della manioca, del 46% del mais, del 38% del caffè, del 21% del grano e del 60% del latte.
L’agroecologia è alla base di questa produzione. L’agricoltura agroecologica, oltre a garantire una produzione alimentare sana, garantisce il rispetto della diversità dei gruppi indigeni e dei piccoli contadini, delle donne e dei giovani e della biodiversità.

Attualmente il Brasile conta circa 70.000 produttori biologici certificati e le esperienze agroecologiche si stanno moltiplicando. Gli agricoltori del Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (Movimento dos Trabalhadores Rurais Sem Terra – MST) hanno prodotto più di 16.000 tonnellate di riso biologico nel 2019, garantendo alimenti sani per la popolazione locale e per l’esportazione.

L’agroecologia è l’unico metodo capace di produrre cibo nel rispetto della società e dell’ambiente, e allo stesso tempo della cultura e della lotta dei popoli indigeni, delle comunità tradizionali e dei piccoli contadini.

(Articolo tratto dal rapporto Il futuro del cibo. Biodiversità e agroecologia per un’alimentazione sana e sostenibile, scaricabile sul sito di navdanyainternational.org)