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Resident Evil VII il top dell’horror

Resident Evil VII il top dell’horror

Games All’inizio bisogna godere della luce, perché ancora non sappiamo che questo chiarore giallo itterico che filtra sgradevole tra i rami degli alberi troppo rigogliosi che vegetano ai bordi di un […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 18 febbraio 2017

All’inizio bisogna godere della luce, perché ancora non sappiamo che questo chiarore giallo itterico che filtra sgradevole tra i rami degli alberi troppo rigogliosi che vegetano ai bordi di un sentiero fangoso tra le pozze palustri della Lousiana sarà l’unico lucore solare che illuminerà il nostro terrificante calvario nelle tenebre di Resident Evil VII. Quindi camminiamo lenti avvicinandoci ad una magione cadente, notando ogni sordido dettaglio del cortile trasandato. Poi entriamo. O meglio «entro» perché con il visore della realtà virtuale di Playstation 4 la soggetiva di Resident Evil VII è assoluta e totalizzante per chi decide di vivere il survival-horror di Capcom in questa modalità. Così un ottimo e truculento videogioco dell’orrore, se esperito in maniera tradizionale, si trasforma in una pietra miliare dell’horror, come lo furono i primi racconti di Lovecraft su Chtulhu, la Notte dei Morti Viventi di Romero, Shining di Stephen King e Blair Witch Project.
IL VISORE
Con la realtà virtuale ogni distanza dall’oscena follia che alberga nella magione che ci avviamo ad esplorare in cerca di una moglie perduta da tre anni è azzerata, venendo a mancare il confine razionale e tangibile alimentato dalla posizione lontana dello schermo e dalla sua forma rettangolare su cui scorrono le immagini con le quali chi videogioca interagisce.
Indossando il visore e gli auricolari precipitiamo in un altrove che ci illude con potenza rivoluzionaria della sua realtà, uno spazio in cui agiamo da dentro non più come osservatori ma attori. Quindi non giochiamo più con un ruolo, è il «ruolo» invece a giocare con noi, ad illuderci con una forza di suggestione mai prima sperimentata che lo spazio e il tempo siano solo quelli del videogame, almeno finché non togliamo il visore per riposare gli occhi e sgombrare la mente dall’ansia accumulata.
BRIVIDI
Ma ci diverte anche, questo Resident Evil VII?
Molto, a patto che amiate il genere, un diletto il cui livello è paragonabile al giro dentro il tunnel dell’orrore di un Luna Park vissuto da bambini, quando la consapevolezza di essere in un baraccone provocava risate liberatorie ma l’ingenuità della fanciullezza faceva scorrere brividi lungo la schiena e induceva a sperare che quel viaggio fittizio finisse presto, perché chissà: «magari quei mostri di plastica e carta pesta hanno deciso di diventare veri».
Insomma Resident Evil VII, senza nulla togliere all’esperienza convenzionale, diventa con la realtà virtuale di Sony uno spettacolare fuoco artificiale numerico, orrido e miracoloso insieme, capace di veicolare suspense e spavento come nessun horror è mai riuscito a fare.
Siamo ancora lontani (ma non troppo, per fortuna forse) dal realismo assoluto, a causa dell’evidenza dei pixel e del movimento ottenuto tramite il controller di Playstation 4, tuttavia la possibilià di guardare e agire in un ambiente che ci avvolge a 360 gradi è stupefacente e, soprattutto durante le prime ore di gioco, causerà un senso di meraviglia che nemmeno i luoghi più tetri e orripilanti che dovremo esplorare riusciranno a negare con la loro iperbolica bruttezza.
LA FAMIGLIOLA
Ispirato ai classici delle famiglie dell’incubo come Texas Chainsaw Massacre di Tobe Hooper e People Under the Stairs di Wes Craven, Resident Evil VII, disponibile anche per Xbox One e PC, riporta la celeberrima saga alle origini, estremizzando gli elementi ludici che la distinguevano prima della svolta «action» degli ultimi episodi: le poche risorse disponibili, l’esplorazione rigorosa, gli enigmi da risolvere, rare e rassicuranti stanze senza pericoli dove salvare la posizione, il cassone dentro cui stipare gli oggetti, poche ma micidiali creature ognuna delle quali può mettere in crisi e precipitare il giocatore nel game over.
Questa volta inoltre a terrorizzarci ci saranno almeno inizialmente «semplici» esseri umani, una famiglia di psicopatici composta da un padre barbuto e manesco, una madre con la fissa per la cucina, il cannibalismo e gli insetti, il loro figliolo Lucas, sadico e geniale, e l’eccezione Zoe, sua sorella buona e ribelle.
C’è anche un’anziana signora dalla magrezza cadaverica su una sedia a rotelle, insieme a questa ridente famigliola di maniaci e ci domandiamo chi sia sperando di non scoprirlo drammaticamente, perché ella non compare nelle antiche foto sparpagliate per la casa. La vetusta signora non parla mai ma ci fissa, e la ritroviamo d’improvviso nei luoghi più inaspettati, come se fosse stata lasciata lì di proposito a giacere sulla sua carrozzina nel ruolo di un curioso, apparentemente impotente cane da guardia.
QUINDICI ORE
Trattandosi di un Resident Evil non tarderanno a presentarsi le abominevoli mutazioni, qualcuna abnorme, sebbene il bestiario risulti più contenuto rispetto alla tradizione della saga di Capcom. Ci sono delle muffose creature dette «fungimorfi» che dovremo cercare di abbattere con le rare armi reperibili, un’attività che con la realtà virtuale risuta ludicamente riuscita ed efficace, perché miriamo muovendo la testa e lo sguardo verso l’obiettivo. Risultano quindi memorabili e creativi gli scontri contro le abominazioni più grandi, un tour de force appagante e delirante la cui conclusione ci troverà inevitabilmente con il fiato mozzo ma senza nessun sentore di «motion sickness», quel mal di mare che si può provare utilizzando il visore. Si tratta di un disagio soggettivo, ma chi scrive ha completato il gioco in una quindicina di ore suddivise in quattro giorni senza nessun disagio.
Non ci sarà la varietà di creature a cui ci eravamo abituati giocando agli altri episodi, ma non importa perché i veri mostri sono la magione e il terreno della famiglia Baker: corridoi tinti di grigio sporco dalla luce lunare che scaturisce malevola dalle finestre sbarrate, cucine dove marciscono sacchi pieni di indefinibili resti putridi, latrine incrostate di sangue, cantine ridotte a scomposti obitori, stanze riadattate per operare ogni genere di tortura, passerelle cadenti sospese sul fango marrone scuro di immoti acquitrini. Infine quando pensiamo di essere riusciti a fuggire, eccoci in altri e nuovi inferni nei quali Resident Evil VII rivelerà il significato della numerazione dopo il titolo, connettendosi in maniera inaspettata con la trama raccontata durante gli altri episodi.
MAI PIÙ COME PRIMA
Sono giochi come Resident Evil VII che danno un senso compiuto all’invenzione della realtà virtuale, intesa non solo come un mezzo attraverso il quale giocare ma soprattutto come veicolo di visioni, illusioni e emozioni che si allontana dal videogame tradizionale senza soppiantarne le dinamiche e la validità ludica. Appassionante, riuscito e comunque spaventoso anche se giocato davanti alla tv, sarà comunque impossibile per chi ha sperimentato questo settimo episodio con il visore tornare a giocarlo con lo stesso perverso piacere in una maniera convenzionale. La stessa differenza che c’è tra vivere un viaggio e guardare successivamente le diapositive che ne conservano le immagini bidimensionali.

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