Non è la prima volta che Milorad Dodik minaccia la secessione della Republika Srpska (Rs, una delle due «entità» di cui è composta la Bosnia-Erzegovina, a maggioranza serba, ndr). Questa volta però il leader nazionalista serbo-bosniaco in crisi di consensi in Rs, sembra non volersi arrestare davanti alla linea rossa. Una linea rossa chiamata Dayton, gli accordi di pace che hanno posto fine alla guerra in Bosnia nel 1995.

La crisi politico-istituzionale aperta da Dodik è scoppiata due settimane fa quando la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune norme contenute nella legge sul terreno agricolo approvata dalla Rs. Secondo i giudici la proprietà di terreni agricoli abbandonati spetta automaticamente allo Stato e non all’«entità» come previsto dalla norma, considerata per questo illegittima.

Tanto è bastato a Dodik per scatenare il putiferio. La Rs ha deciso di ritirare i propri rappresentanti dalle istituzioni statali finché non verrà riformata la Corte costituzionale. Tra i rappresentanti della Rs nelle istituzioni centrali figura anche il premier del governo di Sarajevo Zoran Tegeltija, eletto dalle elezioni dell’ottobre del 2018.

In sostanza Dodik chiede che vengano rimossi i giudici internazionali che compongono la Corte. Gli altri sei provengono dalle comunità costituenti, due serbo-bosniaci, due croato-bosniaci e due bosgnacchi. L’espediente, contenuto negli accordi di pace di Dayton, era necessario per garantire il corretto funzionamento della Corte costituzionale. Secondo Dodik invece i giudici internazionali lavorerebbero alla «distruzione della Rs», agendo «nell’interesse dei bognacchi». Un’accusa priva di fondamento, ma in linea con la politica del leader serbo-bosniaco volta a imbrigliare il Paese in un perenne stallo politico.

Questa volta però Dodik ha alzato il tiro. La richiesta di riforma della Corte costituzionale è stata accompagnata da un ultimatum: o si vota la legge per la rimozione dei giudici internazionali entro due mesi o la Rs indirà un referendum per la secessione dalla Bosnia-Erzegovina. «Arrivederci Bosnia, benvenuta Rs-exit», ha tuonato sprezzante Dodik, «ci vediamo tra sessanta giorni».

Ieri l’ultimo capitolo della crisi lo hanno scritto i parlamentari del suo partito, l’Snsd, insieme a quelli del partito nazionalista croato dell’Hdz BiH (formazione croato-bosniaca del partito al governo in Croazia, ndr). In parlamento hanno presentato una proposta di legge di modifica della Corte costituzionale.

Un azzardo che nei giorni precedenti aveva scatenato le proteste della Comunità internazionale. In primis quella degli Stati Uniti che per voce dell’ambasciatore americano in Bosnia Eric Nelson e dell’inviato speciale nei Balcani Matthew Palmer hanno minacciato l’imposizione di sanzioni contro chiunque metta a rischio la sovranità e l’integrità della Bosnia.

«Insisteremo sul rispetto di Dayton», ha commentato l’Alto rappresentante, Valentin Inzko. Il “guardiano” dei trattati di pace si è detto certo che nessun referendum avrà avuto luogo e che laddove venisse organizzato, non avrebbe alcuna validità giuridica. «La secessione equivale a oltrepassare la linea rossa», ha poi concluso Inzko.

Sulla questione è intervenuto anche l’ex ministro della sicurezza e deputato del partito d’opposizione Sds Dragan Mektic, che ha esortato i serbo-bosniaci a prendere le distanze da Dodik e dalla sua politica finalizzata, secondo Mektic, solo a salvare la propria pelle, ragione per cui Dodik non esiterà a prendere misure più estreme e trascinare il popolo serbo in un conflitto. E le critiche Mektic non le ha risparmiate nemmeno all’«inerte» comunità internazionale, a cui ha chiesto di prendere «misure drastiche» per fermare in tempo l’escalation a cui si sta assistendo.

Se quello di Dodik è un azzardo elettorale in vista delle amministrative in programma in autunno o un tentativo reale di dichiarare l’indipendenza della Rs, lo dirà il tempo. La certezza per ora è che l’atmosfera si sta surriscaldando: la settimana scorsa a Srebrenica una donna musulmana è stata aggredita da un gruppo di nazionalisti serbi che hanno tentato di strapparle il velo. Un episodio che non lascia ben sperare. Quasi un presagio.