Con una vittoria meno netta rispetto a cinque anni fa il presidente uscente Miloš Zeman ha vinto per la seconda volta le elezioni presidenziali in Repubblica Ceca. Al ballottaggio, Zeman si è imposto sullo sfidante, l’ex presidente dell’Accademia delle Scienze, Jirí Drahoš, con il 51,4% dei voti. Il presidente uscente ha saputo mantenere il vantaggio conquistato nelle zone più periferiche e nei centri minori e medi del Paese conquistando quasi tre milioni di voti. L’arrivo dei risultati dalle città più grandi ha dato una forte spinta a Drahoš, che ha raccolto a Praga e a Brno circa il 60%.

TRA I DUE TURNI Miloš Zeman ha cercato di abbassare il tono del dibattito. Uno dei maggiori punti deboli del presidente uscente, anche agli occhi dei suoi stessi sostenitori, è stata la sua attitudine, quasi iconoclasta, a demolire il decoro presidenziale. In Repubblica Ceca il presidente ha poteri simili a quelli del capo dello Stato italiano ma viene visto come il massimo esponente, uno specchio e autoritratto, della nazione. Le ripetute cadute di stile di Zeman, condite da espressioni scurrili, hanno offuscato l’immagine presidenziale. Non è bastato a Drahoš aver speso in campagna elettorale l’immagine opposta di persona per bene promettendo di restaurare il decoro perso.

Miloš Zeman ha saputo riconfermare l’immagine del tribuno della parte più debole del paese. Su alcuni eminenti temi politici i due candidati hanno avuto posizioni molto simili. Sia Zeman che Drahoš sono contrari alle quote migranti, entrambi sostengono «aiutiamoli a casa loro» a casa loro», mentre vogliono rafforzare la difesa militare del confine esterno dell’Unione. Sull’integrazione europea Zeman sostiene il principio si sussidiarietà, mentre Drahoš ha evitato di esprimere un’opinione chiara. Gli unici due veri distinguo sono stati registrati sulla politica estera e la cittadinanza attiva. Lo sfidante ha avuto un approccio più filo-occidentale del presidente, che nei suoi cinque anni di mandato ha fatto viaggi frequenti in Russia e in Cina, ma che è anche un falco pro Israele e filo-Nato. Drahoš si è detto contrario alla possibilità di istituire il referendum a livello nazionale, mentre Zeman si dice da tempo sostenitore della cittadinanza attiva con referendum e l’elezione diretta dei sindaci.

SULLO SFONDO della vittoria si profila la domanda, che presidente sarà Miloš Zeman nel secondo mandato?

La Repubblica Ceca si trova in una sensibile fase post-elettorale. Il presidente ha stretto una forte alleanza con il miliardario Andrej Babiš, nominato premier in dicembre. Tra i due turni l’alleanza con Babiš si è allentata, il premiar ha consigliato a Zeman di disfarsi di alcuni personaggi del suo entourage. In cambio il presidente ha chiesto a Babiš, leader del primo partito alle elezioni politiche dello scorso ottobre, di portargli l’adesione della maggioranza dei parlamentari per riavere la nomina a premier, dopo che il suo governo monocolore non ha ottenuto la maggioranza alla Camera a metà gennaio. Con la vittoria è Zeman ad avere carte migliori nelle sue mani mentre Babiš rimane, fino all’affidamento ufficiale del reincarico, in balia delle volontà presidenziali.

AL CENTRO DEL GIOCO il partito socialdemocratico, dove l’ala nazionalpopolare più vicina al presidente sta avendo la meglio sui liberali. A metà febbraio i socialdemocratici si riuniranno in congresso per decidere se cedere alle lusinghe di Babiš. La presenza di un partito tradizionale darebbe una parvenza di maggiore normalità al governo e alla premiership di Babiš, che è sotto indagine per una froda ai danni dell’Unione Europea.