Conte «è stato imbarazzante», «Salvini, compra una vocale, da Salvini a Savoini, e vai querelare questo signore subito, e ne vedremo delle belle». Matteo Renzi non parla in aula perché, spiega, ha preferito fare «un passo indietro» per non alimentare i malumori di chi non aveva esultato alla sua decisione di fare il frontman Pd di fronte a Conte. Ma non è un passo indietro: su facebook l’ex segretario svolge l’intervento che non ha fatto in aula. Se la prende con Salvini, ma tira frecciate velenose contro Zingaretti, senza nominarlo. L’effetto finale è che il pantano in cui si sono infilati i dem rischia di fare più notizia rispetto ai clamorosi autogol della maggioranza: e cioè le omissioni e le contraddizioni del premier, la fuga del vicepremier leghista (che anche lui parla dai social), l’assenza polemica dall’aula dei 5 stelle di fronte all’informativa del loro presidente. E infine il caos in cui è finito il partito di Grillo dopo il sì finale al Tav.

Per il Pd che ha chiesto a Conte di riferire in aula,la giornata si risolve in un boomerang. Renzi fa una prova muscolare su Zingaretti a spese del collega Dario Parrini che ha parlato in aula al suo posto. Si mette al centro della scena: «Salvini ha detto: ’guai a chi accosta il nome mio o della Lega alla richiesta di soldi ai russi, sarà querelato’. Caro ministro Salvini, avrei detto in aula, allora deve querelare l’uomo che, a nome della Lega, ha chiesto i soldi ai russi. Se Salvini è in buona fede domani mattina deve querelare Savoini. O lo querela o sta nascondendo qualcosa».

Zingaretti, che non è parlamentare, segue il dibattito da lontano, dall’Emilia Romagna. Invia foto da Bologna dove, megafono in mano, parla fra le operai dell’azienda La Perla in lotta contro i licenziamenti. C’è una distanza molto più che fisica fra il suo Pd e quello che va in scena dallo studio di Renzi. La sera prima, dopo la decisione dei senatori, Zingaretti ha dato il suo ok all’intervento del predecessiore. Alle nove di sera alla riunione con i capogruppo Delrio e Marcucci e i vicesegretari Orlando e De Micheli, tutto sembra chiaro.

Ma Renzi, a cui non manca il fiuto mediatico, ha capito che si sarebbe notato di più fingendosi vittima di una censura. Così la presenta e si ritira. «Polemica insensata», bolla Zingaretti. Poi cerca di riportare l’attenzione sulla giornata: «Non c’è più una maggioranza. Si metta fine a questa agonia, a casa e subito al voto». Ma gli attacchi di Renzi non possono essere completamente ignorati: «Ai dirigenti del Pd dico: i cellulari usateli per ragionare, per combattere per l’Italia non per alimentare litigi nel Pd. Basta dividere. Con le polemiche si perde».

Zingaretti è in Emilia anche per la campagna elettorale regionale: una sfida tutta in salita. Ma nel Pd è scoppiata una mezza guerra civile, nei giorni scorsi sono circolate anche voci, non smentite, su chi aspetterebbe che il segretario venga indebolito dalle sconfitte alle prossime tornate elettorali in Emilia Romagna, Umbria e Calabria. Voci, retroscena. Ma è un fatto che nei giorni scorsi la temperatura interna al partito si è improvvisamente surriscaldata: «Hanno deciso di uscire, approfittano di qualsiasi pretesto per fare polemica», spiegano gli uomini vicini al segretario.

Ci sono ormai due linee nel Pd. Persino sulla mozione di sfiducia contro Salvini che mai avrà i voti per passare. I renziani accusano il segretario di non averla voluta presentare subito in senato per non mettere in difficoltà i 5 stelle. Il sospetto è sempre lo stesso: che Zingaretti prepari un avvicinamento con il partito di Grillo. Zingaretti aveva solo chiesto di aspettare l’informativa di Conte. E visto com’è andata, ieri ne ha annunciato la presentazione. Per Renzi non farlo prima è stata «un’occasione persa, ma meglio tardi che mai».