Atteso come il duello al’Ok Corral 2.0, rinviato a più riprese con tanto di tensione gonfiata a dismisura, l’incontro tra Conte e la delegazione di Iv, con entrambe le ministre renziane presenti, si risolve in una chiacchierata rapida, una mezz’oretta appena e, come ampiamente previsto, nell’ennesimo rinvio. Parla solo Renzi. Indica «un problema di metodo poco collegiale e uno di merito». Frena Conte, che vorrebbe discutere subito: «Pensaci e facci sapere». Del resto limitare il colloquio era forse l’unico modo per uscirne con la maggioranza ancora intera.

Sul tavolo di Conte c’è la lunga lettera inviata due giorni fa da Renzi con le sue proposte e resa pubblica già ieri mattina. Ora sta al premier rispondere. «Aspettiamo che faccia una riflessione per vedere se ci sono le condizioni per andare avanti», spiega la capodelegazione Bellanova. I tempi della riflessione non sono definiti. «Per noi non sono lunghi», specifica la ministra. A una conclusione bisognerà arrivare tra il varo della legge di bilancio e la prima metà di gennaio. Iv ripete di non volere rimpasti ma nel calderone finirà tutto, anche quello che tutti a parole negano di volere: una modifica dell’assetto del governo. Quanto profonda e radicale si vedrà.

Se le parole pronunciate sono poche, quelle scritte sono invece molte. La lettera di Renzi è un testo lungo e durissimo che non risparmia nulla. La crisi sanitaria? «È inutile continuare con la retorica del tutto va bene». La crisi economica? «Cerchiamo di non essere i peggiori anche nella ripresa». La bozza di Recovery Plan? «Un collage di buone proposte senza anima né visione. Abbiamo solo svuotato i cassetti dei ministeri con le vecchie proposte?». La Sanità? «Come è possibile metterci solo 9 miliardi. Questo rifiuto ideologico del Mes appare ogni giorno meno comprensibile».

Renzi non lavora di fioretto. Colpisce duro e mira direttamente al premier: «Spesso citi i governi precedenti come parte del problema: se ti riferisci al governo gialloverde siamo con te». E sulla delega ai servizi che Conte insiste per mantenere nelle sua mani: «L’intelligence non è la struttura privata di qualcuno: io mi sono avvalso di Minniti, Monti di De Gennaro, Berlusconi di Letta: tu non puoi lavorare con te stesso anche in questo settore». La conclusione è ovvia: «Abbiamo fatto un governo per evitare i pieni poteri a Salvini. Non li affideremo a qualcun altro».

Ci vuole coraggio per definire una missiva del genere, oltre tutto resa immediatamente pubblica, come elenco costruttivo di proposte. È il discorso con cui in aula un leader di partito giustifica la scelta di negare la fiducia. Ma Renzi non intende farlo, non ora almeno. L’obiettivo è riaprire la partita, rompere l’isolamento, dimostrare quanto posticcia fosse l’unanimità delle altre forze di maggioranza grazie alla quale Conte mirava a circondarlo.

Sa, come tutti del resto, che il Pd non è affatto pacificato e il tentativo del premier di spegnere sul nascere ogni aspirazione di verifica, rimpasto, cambiamento degli equilibri nel governo, ridimensionamento dei poteri di palazzo Chigi, ha portato rapidamente l’irritazione del Nazareno di nuovo a livello incandescente.

Il vicesegretario Orlando distribuisce sberle a destra e manca. Ne ha per Renzi ma anche per Conte: «Siamo stanchi dei veti ma anche del fatto che si continui ad affrontare i veti con i rinvii. C’è il problema dell’assunzione di un ruolo da parte di Conte perché quando emergono nodi l’unica è un’iniziativa del premier».

È una critica molto esplicita che rinvia anche a un ennesimo scontro nella maggioranza, quello sul superbonus: i 5S, dopo aver taciuto in consiglio dei ministri di fronte all’ipotesi di non prorogarlo affatto, insistono ora per una proroga di due anni e non di uno solo. Costerebbe 9 miliardi e sono Conte e Gualtieri a dire che quei soldi ci sono. Salvo poi fare un passo indietro, evitare di intervenire direttamente e lasciare che a sbrogliare la matassa resti solo il partito di Zingaretti.

Orlando insiste a propria volta perché Conte lasci la delega ai servizi e torna sulla necessità di chiedere il prestito Mes, sia pure senza prendere tutti i 36 miliardi. Poco dopo anche il Nazareno squaderna la sua lista di proposte. Molte slides, ben 36, e toni depurati dalla vis polemica dei renziani. Però c’è il Mes e la mossa, al di là dei contenuti, serve proprio a dimostrare che la partita del governo, dei suoi indirizzi e della sua composizione è ancora tutta aperta. La verifica insomma non è finita. È appena cominciata.