Tanto peggio tanto meglio. Il fronte renziano, ancora maggioritario nei gruppi parlamentari Pd, ormai non si fa scrupolo di ammettere che più populista e antieuropeista sarà il prossimo governo, più sarà una chance per il rilancio dem dall’opposizione. Il neopresidente dei senatori Andrea Marcucci tifa apertamente per la rapida formazione di un esecutivo giallo-verde: «Non vedo l’ora che giuri un governo Di Maio-Salvini. Loro hanno il diritto dovere di governare, noi non gli faremo sconti», scrive su facebook. Marcucci prova a troncare la discussione che si è aperta giovedì  fra i deputati  a proposito dell’opposizione «a prescindere». «Possiamo chiudere qui un dibattito che non ha nessun possibile sviluppo? Il Pd non sosterrà mai nessun governo del M5S, nessun governo Lega 5 Stelle. La linea che porteremo  al Colle è quella votata praticamente all’unanimità in direzione: il Pd in questa legislatura starà all’opposizione. Se qualche dirigente vuol cambiare posizione, lo dica chiaramente».

IN REALTÀ IL «CORRENTONE» degli anti-Aventino  ha già detto chiaramente che vuole ridiscutere la scelta dell’immobilismo. Non per sostenere un esecutivo dei 5 stelle, per il quale il Pd – a quel punto spaccato in due – non avrebbe neanche i numeri sufficienti.

IL PROGETTO DEI «COLLISTI», a differenza di quello dei renziani, scommette su consultazioni lunghe che certifichino il fallimento di ogni ipotesi di alchimia Lega-5 stelle. A quel  punto per cambiare la linea basterebbe   riesumare  quella frase dell’ordine del giorno approvata in direzione: «Il Pd non farà mancare il suo apporto al presidente della Repubblica, nell’interesse del paese». Se Mattarella prendesse un’iniziativa per un governo di personalità riconosciute dai 5 stelle ma anche riconoscibili a sinistra, il Pd potrebbe sottrarsi alla richiesta di «responsabilità»?
Il Pd renziano, in realtà, potrebbe. Eccome.  Lo ha  anticipato Matteo Orfini qualche giorno fa: «Dall’appello alla responsabilità sono derivati danni al Pd e al paese», ha spiegato ricordando l’appoggio al governo Monti dell’allora Pd bersaniano. Ma se i renziani sospettano il correntone Franceschini-Orlando di trattare con i 5 stelle, a loro volta sono sospettati di offrire, magari sottobanco, la propria astensione a un governo Lega-Forza Italia.

NEL FRATTEMPO il fronte dell’ex leader  ritrova il ministro  Calenda, che esclude un appoggio ai 5 stelle, «perché accettare risultato elettorale è un dovere, essere complici di irresponsabilità sarebbe delitto», dice. Il Pd ha perso,  quindi il rispetto del voto implica l’opposizione, è il ragionamento. Un rispetto che nel 2013 nessuno si sognò di invocare prima di imboccare la strada della larghe intese con Forza  italia.

OGGI  VA COSÌ. Il vicesegretario Martina cerca una mediazione per allontanare il momento della rottura: «Stiamo attenti a un dibattito sterile tra isolamento e apertura», scrive sui social,  «Ricordiamoci  che il nostro primo vero tema è il ricongiungimento dell’impegno dei democratici con gli italiani». Lo applaude Walter Verini,   rivendicando il precedente  veltroniano: «Il Pd, forza di minoranza, farà opposizione, come facemmo dal 2008 al 2011 verso  Berlusconi. Ma se è  giusto dire questo», ragiona il deputato, «mi parrebbe singolare tifare e augurarsi che possa nascere un governo tra 5 Stelle e Lega, che sarebbe un danno per l’Italia».

SUL DIBATTITO INTERNO al Pd prova a reinserirsi timidamente, per ora, l’ex scissionisti Roberto Speranza, impegnato a sua volta in un duro confronto dentro Leu: «Auspico che il Pd non si chiuda a riccio. Da Franceschini e Orlando  mi pare  che arrivino parole di buon senso. Credo sia intelligente lavorare per evitare l’abbraccio tra lepenisti e grillini».