Stavolta Renzi è nervoso davvero. Si sente sotto attacco su due fronti, e il primo, quello di Mafia Capitale, è meno temibile dell’altro, l’emergenza immigrazione. Ma qui gli assedianti non sono gli immigrati: ne sono arrivati tanti quanti l’anno scorso. Il nemico con cui Renzi, abituato a vincere facile con i deboli, deve vedersela, non risiede nella maciullata Libia ma nelle eleganti capitali europee, e vincere con quella gente è tutt’altro paio di maniche.

Per uscire dall’incubo in cui si è trasformato quello che sino a un paio di mesi fa sembrava il sogno di una vittoria europea, il premier del Pd ha meno di 15 giorni. La data decisiva sarà il 26 giugno, riunione del Consiglio d’Europa, anticipata dal summit di martedì prossimo dei ministri degli Interni. Sino a quel momento, Renzi sarà impegnato a fondo nel giro di trattative discrete che deciderà l’esito del vertice. Inizierà mercoledì, con l’inglese Cameron, poi, domenica, arriverà il colloquio più difficile, quello con Hollande, presidente del paese al centro della polemica sulle frontiere chiuse.

Il premier sa che arrivare al Consiglio europeo con le regioni del Nord impegnate a fare su scala nazionale esattamente quello che i paesi “egoisti” fanno in dimensione continentale vorrebbe dire presentarsi alla sfida con un braccio legato dietro la schiena. Ha fissato un incontro con le Regioni poco prima dell’appuntamento europeo. Conta di far valere lì; con Maroni, Zaia e Toti, il più classico degli argomenti, l’«interesse nazionale». Deborah Serracchiani lo dice a chiare lettere: «Se Salvini e i suoi vogliono essere utili si uniscano a questo lavoro sull’Europa». Traduzione: rendano la missione di Renzi un po’ più facile invece che proibitiva.

L’argomento è forte e di solito persuasivo, soprattutto perché facilmente trasformabile in contundente propaganda. Ma stavolta l’arma rischia di rivelarsi spuntata, perché proprio in termini di propaganda il disastro provocato dalla sospensione di Schengen è l’occasione più ghiotta che potesse finire nelle mani dell’opposizione di destra, ma anche di quella a 5 stelle.
Ormai la Lega detta legge. Dopo le elezioni, e con i ballottaggi di oggi alle porte, ogni ricordo della «destra moderata» è stato messo da parte. Salvini durissimo: «L’Italia sarà lasciata sola. O il governo si sveglia o meglio andare alle elezioni ed eleggere ministri più capaci». Gli azzurri addirittura superano i leghisti in truculenza e impossibili fantasie bellicose. «L’Italia è ridotta a una discarica. Il rischio di epidemie è reale. Blocco navale», tuona il generale Gasparri. L’ex pitonessa Santanché esorta a prendere a modello la Francia: «Ci sta dando una lezione di coraggio e di coerenza».

Ma quel che più teme Renzi non è la destra, è l’attacco concentrico mosso dal fronte Lega-Fi da un lato e M5S dall’altro. Dal suo blog Beppe Grillo guida la carica e lo fa con sottigliezza sconosciuta a Salvini. Evita di scagliarsi contro gli immigrati e prende di mira la Ue: «Perché dobbiamo rimanerci se l’unica risposta, quando c’è un problema di queste dimensioni, è chiudere i ponti levatoi come nel Medioevo? Così l’Italia diventa una trappola per italiani e profughi».

Ma la sostanza non è diversa dalle intemerate di Maroni e Salvini: modifica del regolamento di Dublino «firmato a suo tempo anche dalla Lega», quello che impone ai Paesi in cui i migranti arrivano di trattenerli invece di lasciare a loro la scelta e «uscita temporanea da Schengen». La prima proposta sarebbe in realtà ragionevole, la seconda si accoda al clima di panico che flagella sia l’Europa che l’Italia.
Le voci sensate sono poche: quella del papa, quella di Emma Bonino: «Mi interessa un messaggio di integrazione, non di paura. È l’unica risposta possibile». Non è l’umore generale del paese. Renzi lo sa e sa che, tanto più dopo aver cantato vittoria a voce altissima, non può ora permettersi di essere maltrattato senza neppure cercare di addolcire la pillola dall’Europa. Anche la propaganda ha i suoi limiti, nonostante la complicità dei media. Il sottosegretario agli Esteri Della Vedova può anche cercare di salvare il salvabile rivendicando al governo il merito di «aver imposto la discussione». Ma senza risultati a breve, quel merito servirà a pochissimo.