Il capo del partito Ciudadanos, Albert Rivera, si è visto ieri con il segretario del Pd, Matteo Renzi, in una colazione a Roma. Il leader arancione sta vivendo il suo momento migliore da quando, grazie al voto della sua formazione, Mariano Rajoy poté tornare alla Moncloa nel 2016. Per la prima volta, Ciudadanos è arrivato primo in un’elezione – in Catalogna a dicembre ha ottenuto il 25% dei voti, ed è la prima forza parlamentare.

Gli ultimi sondaggi – certamente molto pompati dai mezzi di comunicazione mainstream, come El País, che l’hanno sempre molto amato – danno Ciudadanos addirittura come primo partito anche in Spagna se si dovesse votare oggi, superando di poco il logoratissimo Pp. Nel Congresso attuale, Ciudadanos è solo la quarta forza, dopo Pp, Psoe e Unidos Podemos.

Sia come sia, Rivera sta approfittando del suo aumento di popolarità per cucirsi addosso l’abito che più gli piace: quello di statista europeo responsabile, il «Macron spagnolo», come lo definisce chi lo vuole lusingare.

Non a caso, uno dei temi ieri toccati dai due leader è stato proprio quello europeo. Da un lato, per suggerire che Italia e Spagna dovrebbero non solo unirsi all’asse franco-tedesco (niente di originale), ma anzi spingere per un’improbabile quadrumvirato Berlino-Parigi-Madrid-Roma postBrexit per la leadership europea. Altro tema toccato dai due è il sempreverde «liste europee transnazionali» in vista delle Europee dell’anno prossimo, «un’idea sostenuta anche da Macron», si è affrettato a chiosare Rivera.

Altro tema caro agli arancioni è quello dei «nazionalismi» (sempre quelli locali, mai quelli degli stati) e dei «populismi» (cioè i movimenti di sinistra), preoccupazioni che Albert Rivera condividecon il buon Renzi, come conferma una nota dell’ufficio stampa Pd. Mentre il segretario dem ha fatto un retweet della foto che lo spagnolo ha pubblicato sulla rete sociale con il banale messaggio «oggi ho mangiato a Roma con Matteo Renzi. L’Europa deve riaffermarsi nei suoi valori comuni che la videro nascere e avanzare verso riforme politiche e istituzionali che rafforzino il progetto europeo».

L’interesse di Rivera per rafforzare il suo profilo di statista è evidente, e anzi è un’ossessione da quando ha fatto il salto dalla politica catalana a quella spagnola.

Oltre al peso elettorale, c’è in ballo la finanziaria 2017 (che Rajoy non ha ancora potuto approvare), da cui Ciudadanos vuole trarre grandi vantaggi politici. Ha già detto che imporrà l’aumento degli stipendi per le polizie e la dimissione della senatrice del Pp imputata per corruzione. Secondo lui, i sondaggi sul suo partito disegnano «un cambiamento più strutturale che congiunturale», come ha detto in conferenza stampa.

Meno chiaro è l’obiettivo di Matteo Renzi, che Rivera ieri ha descritto come «poco dogmatico», e che nel 2014 si fece raggiungere in una festa dell’Unità a Bologna dal leader socialista Pedro Sánchez (oltre che dal francese Manuel Valls, dal tedesco Achim Post e dall’olandese Diederik Samson, tutti tradizionali alleati): i lettori ricorderanno la foto dei cinque in camicia bianca, che davano luce al «patto del tortellino». Che peraltro non ha portato fortuna a nessuno dei cinque, stando ai risultati elettorali. Forse è per questo che conviene cambiare di alleati. Nell’incontro di ieri il segretario di Sinistra italiana, Nicola Frantoianni, vede infatti «il segno di una continuità con le politiche sociali attuate dai governi Pd» e «quanto sia cambiato il Pd in questi anni».