Elogio alla riforma Fornero, gelida presa di distanza dalla Cgil. A due giorni dalla kermesse fiorentina, c’è già un nuovo Renzi post-Leopolda che perde gli accenti inclusivi e prende di petto i totem dell’elettorato Pd. Dal Messaggero elogia la legge Fornero: «Va trovata una soluzione per gli esodati» ma «la riforma non era affatto sbagliata». Sul lavoro: fatti salvi i principi dello Statuto bisogna «azzerare tutte le norme». Sul sindacato: ormai rappresenta «solo i pensionati» e non fa le battaglie «per i non garantiti». «Il Pd non deve essere la cinghia di trasmissione della Cgil. Se divento segretario del Pd, non metterò mai bocca sulla linea della Cgil, e mi auguro che anche loro facciano lo stesso con noi».

Siamo ormai al rovesciamento della linea Pd. Sulla riforma del mercato del lavoro targata Monti, i democratici sostengono di averla votata turandosi il naso. Per l’ex ministro Damiano le proposte di Renzi fanno venire «la pelle d’oca». Anche perché le parole di Renzi sulla «libertà di assumere» ricalcano quelle di Pietro Ichino, già ispiratore del programma del sindaco nel congresso del 2009, prima che il giuslavorista passasse con Monti. «Una legge buona e riformista», l’aveva definita.

Quanto alla Cgil, identificata come il simbolo della conservazione, fra Renzi e la segretaria Camusso, grande elettrice di Bersani, da ieri le già ampie distanze sono diventate fossati. Ma l’attacco di Renzi ha un bersaglio, più simbolico che concreto, al cuore del Pd: il segretario Epifani, ex leader sindacale. Il popolo cigiellino che fornisce truppe e colonnelli al Pd, alle primarie non voterà per il sindaco. Ora Renzi a sua volta fa capire che quel voto non lo vuole.
Negli ultimi due giorni il sindaco ha visto i risultati dei congressi di circolo. Non lo premiano. Il comitato del suo principale sfidante ha annunciato che i 176 mila iscritti che hanno votato fin qui, hanno eletto 48 segretari schierati con Cuperlo e 28 con Renzi. In un percorso congressuale costellato però di casi di tesseramento gonfiato. Che un ’non schierato’ come Goffredo Bettini non esita già a definire «la dimostrazione di una degenerazione della vita ordinaria del partito». Alla fine i votanti dei circoli saranno 200mila. Che Renzi tenderà comunque a mettere tra parentesi, per puntare tutto sulle primarie dell’8 dicembre, giocando la carta del sentimento antisindacale di area grillina e post-pidiellina. Ma anche tentando di recuperare una parte del popolo precario ormai finito nel non voto, che sempre meno vede nei sindacati un punto di riferimento per le proprie tutele.

A Gianni Cuperlo, suo principale sfidante, questo posizionamento fa buon gioco: «Il Pd ha perso 3 milioni di elettori democratici. Io vorrei prima di tutto riconquistare quegli elettori», ha detto ieri mattina ad Agorà, RaiTre. Quella di Renzi è una collocazione «culturalmente ambigua», per dirla con il viceministro Fassina.

Non negata dal ministro Delrio, uno dei migliori in campo d’area renziana, che al settimanale Tempi ha ammesso che Renzi «come Berlusconi, è un talento politico fuori del comune», «leader carismatici, entrano in sintonia col popolo», «. Cosa vuoi dire di un Berlusconi che è stato per vent’anni il leader incontrastato del centrodestra italiano? Cosa vuoi dire di un Renzi che, così come Blair ha sconfitto i sindacati e la sinistra storica in Inghilterra, è il leader che sta cambiando il linguaggio e l’approccio della sinistra in Italia?».

Niente, appunto. Renzi, verificato che nel popolo dem il suo successo potrebbe essere meno smagliante delle attese, si gioca tutto fuori dal perimetro del partito. Ma a questo punto, spiegano al Nazareno, «per non essere un’anatra zoppa, non può solo vincere, deve stravincere». Trascinando una valanga di votanti ai gazebo – nel 2009 furono più di tre milioni – che travolga il risultato dei 200mila iscritti.