Alla fine, dopo due giorni di polemica interna, Matteo Renzi ritira la sua «personale» (parole sue) raccolta di firme a sostegno della mozione di sfiducia contro Salvini. L’iniziativa era uguale e parallela – e cioè concorrente – a quella lanciata dal segretario più o meno contemporaneamente (le opposte fazioni litigano per la primogenitura dell’iniziativa, le ricostruzioni alla fine assegnano il premio ai renziani). I militanti dell’uno e dell’altro per due giorni si lanciano accuse di plagio. Ieri Carlo Calenda prova a unificare le due petizioni – quella renziana si svolgeva online, quella del Pd ai tradizionali banchetti delle feste dell’Unità. Ma anche Calenda deve ritirarsi con le pive nel sacco: i renziani non l’hanno presa bene. «Mi pare chiaro che la priorità non è sfiduciare Salvini ma sfiduciare chiunque non sia Renzi», la sua conclusione. Nel pomeriggio però l’ex segretario ritira l’iniziativa: «Abbiamo raccolto in due giorni più di 30mila firme. Oggi ci viene detto che la raccolta firme va bloccata, sostituita o unita a quella improvvisamente annunciata dalla segreteria del Pd», «Noi blocchiamo la nostra raccolta di firme, spero che altri blocchino le loro ossessioni ad personam». Il riferimento è a un post di Camilla Sgambato, membro non notissimo della segreteria che aveva chiesto di stoppare la gara fratricida e raccogliere tutte le firme «con il modulo del Pd». Renzi dunque ferma polemicamente le macchine. Ma la vicesegretaria De Micheli puntualizza: «Nessuno impedisce o ha impedito nulla a nessuno. Gli avversari sono fuori di noi».

Risparmiamo al lettore altri dettagli del vaudeville. La verità però è poco allegra: quello che succede ai dem è grave ma non serio. Anche perché nel frattempo Salvini scala i consensi a colpi di insulti, decreti illiberali e balletti patriottici sulla spiaggia. Al confronto le liti Pd sono una realtà parallela, pura fantascienza.

Renzi nega l’intenzione di fare una scissione, ma nel Pd ci sono ormai due partiti. Da quando è sfumato il ritorno al voto imminente, ha ripreso in pieno l’iniziativa politica con i suoi comitati civici, che nega essere una corrente. Ma la coincidenza fra i suoi slanci e quelli del segretario autorizza il Nazareno sospettare la sistematica controprogrammazione. Al fine di oscurare le iniziative – di per sé non luminosissime, va detto – del segretario.

Tutto nasce dalla mozione di sfiducia contro Salvini sul caso «rubli». Renzi la propone a tamburo battente, Zingaretti rallenta per allungare i tempi del litigio fra M5S e Lega. Quando il premer Conte va al senato per la sua informativa, Renzi fa sapere che sarà lui a parlare in aula. Dopo qualche timido malumore dei suoi colleghi senatori rinuncia. Ma svolge l’intervento su facebook, non senza qualche polemica velenosa sul segretario – accusato di intelligenza con il nemico grillino. La mozione finirà poi in un buco nell’acqua: la camera l’ha rimandata a settembre.

Alla successiva direzione Renzi non va, ma posta una enews a riunione appena iniziata. A settembre ‘capiterà’ una nuova coincidenza. Il Pd inaugura il 23 agosto la festa nazionale a Ravenna. Per quegli stessi giorni Renzi ha fissato nel lucchese la sua scuola quadri per under 30.