La sceneggiatura era già scritta. Il palcoscenico non è più un vertice limitato ai capidelegazione al governo ma una vera riunione di maggioranza, allargata ai capigruppo di Italia viva e LeU o a diversi esponenti dei partiti, come il vicesegretario del Pd Andrea Orlando, oltre a diversi ministri. Nessuno si aspetta sorprese rosee, che infatti non arrivano. Iv boccia la nuova bozza di Recovery Plan, trova le «13 paginette» troppo vaghe, insufficienti, in alcuni passaggi, secondo il capogruppo al Senato Davide Faraone, addirittura «provocatorie». I renziani procedono sbrigativi a colpi di ultimatum: «Avete perso mesi. Ora vogliamo il documento finale subito e ci esprimeremo su quello».

Mettono sul tavolo il Mes e il Ponte sullo Stretto, alludono alla delega ai servizi segreti che il premier non vuole mollare. Giuseppe Conte replica difendendo il lavoro di mediazione realizzato con la nuova bozza, promette un incontro nei prossimi giorni per concordare punto per punto un patto di legislatura. Sembra un dialogo tra sordi, ma è solo la messa in scena di attori che sapevano già dall’inizio come sarebbe andata e rispettano il copione.

IN REALTÀ, NELLA BOZZA, di aperture alle richieste di Iv e della maggioranza in generale ce ne sono ed è innegabile. «È un buona base per un confronto costruttivo ma se si cercano pretesti non c’è dialogo che tenga», commentano i capigruppo di LeU Loredana De Petris e Federico Fornaro.

Ma Matteo Renzi ha già da un pezzo alzato il tiro: l’obiettivo di massima è Conte, quello minimo, del quale non è però neppure detto che Renzi si accontenterebbe, un fortissimo ridimensionamento del suo potere. Iv però non ritira ancora le sue due ministre, aprendo formalmente la crisi. Aspetta che il consiglio dei ministri licenzi la bozza: solo a quel punto la crisi sarà conclamata. La riunione era prevista per oggi ma Conte, su vigorosa spinta del Pd, dovrebbe rinviare a lunedì e forse oltre, verso la metà della prossima settimana.

IL MARTELLAMENTO renziano si era intensificato già dalla mattina. «Conte dovrebbe prendere atto che questa esperienza si è conclusa e capire se è in grado di scrivere un nuovo patto di governo», affonda la ministra Teresa Bellanova. «Conte non è indispensabile», duetterà qualche ora dopo Ettore Rosato. Renzi corona il coro bellicoso, in tv, mentre il vertice è ancora in corso: «Ora basta tirarla per le lunghe. Conte decida e porti la bozza in cdm il prima possibile».

È un ultimatum che lascia le porte socchiuse per un Conte ter tutto ancora da discutere, molto diverso dal questo governo nell’ispirazione, negli equilibri interni, nel ruolo e nei poteri, se non nell’identità del premier. Proprio quel che Conte non vuol fare e che lo spinge a puntare i piedi, oltre al sospetto inevitabile e probabilmente fondato che, una volta rassegnate le dimissioni, Renzi si rimangi ogni promessa.

IL PROBABILE RINVIO del cdm che formalizzerà la rottura è l’ultimo ridottissimo confine prima della crisi al buio. In questi pochi giorni il Pd spera che si verifichi un «fatto nuovo». Quale? Un vertice dei leader, cioè «l’iniziativa» che Zingaretti insiste invano nell’invocare da giorni, nel quale Conte avvii il «rilancio» dell’alleanza. Formula fumosa dietro la quale si nascondono però due o tre passi piuttosto chiari: cessione delle deleghe sui servizi, sblocco della mediazione sul Mes da chiedere solo in parte, avvio della trattativa sulla governance del Recovery.

A quel punto, se anche Renzi insistesse nel rompere comunque, Conte, secondo i ragionamenti del Nazareno, affronterebbe almeno la crisi da una posizione di forza, avendo dalla sua Zingaretti, Di Maio e Speranza. Perché al momento è così più nella facciata che nella sostanza. La relazione di Zingaretti e prima ancora l’intervista del capogruppo Graziano Delrio sono suonati infatti certamente schierati in difesa del governo ma più prudenti di quanto Conte non desiderasse e si aspettasse.

IL PERCORSO DELLA CRISI è tanto al buio quanto il suo esito. Conte resta fortemente tentato dall’ordalia parlamentare, la sfida voto per voto. Significa presentare la bozza in parlamento, metterla ai voti, contarsi e poi vedere cosa succede. Il Pd non concorda. Il Colle non approva. Molto meglio dimettersi subito, ottenere il reincarico e provare a ricostruire un nuovo governo basato sulla stessa maggioranza.

Ma è quello il passaggio nel quale Renzi tenterà la carta di una nuova maggioranza, la sola ipotesi che anche il Pd, oltre ai 5S, consideri davvero proibitiva perché rimetterebbe in gioco Salvini. Impossibile per tutti, a partire dai protagonisti, fare previsioni. Stavolta il buio è davvero totale.