Intorno all’ora di pranzo Bruno Tabacci entra a palazzo Chigi. È uno dei principali punti di riferimento nella caccia al responsabile, in stretto contatto col Senato, il fronte dove le cose sono davvero dure. Incontra Luigi Di Maio ma il risultato della perlustrazione è poco consolante: «La maggioranza si può allargare. Ma non con questo governo. Ci vuole il Conte ter».

È QUEL CHE CONTE NON VOLEVA e non vuol fare: dimettersi. Ma i conti sono quelli che sono: impietosi. Costruire un nuovo gruppo al Senato è difficilissimo, ma mettere in piedi un qualcosa di politicamente credibile è impossibile. Non dopo la bomba Cesa che, moltiplicata nei suoi effetti deflagranti dalle dichiarazioni dei capi 5 stelle, ha messo fuori gioco proprio l’Udc, cioè la carta su cui più su ogni altra puntava la maggioranza per mettere in piedi un «allargamento della maggioranza».

RESTA ITALIA VIVA, dove i numeri sparati a caso dagli esploratori di palazzo Chigi erano alti, altissimi: 5 o 6 uscite imminenti. Ma finché l’operazione resta tanto sgangherata e fallimentare la tentazione è bassa e Renzi lavora per azzerarla. «L’operazione responsabikli è fallita – dice ai suoi – ora lasciamoli decantare qualche giorno», così deputati e senatori firmano un documento di estrema apertura preoccupati «per lo stallo istituzionale», propongono «una soluzione politica che abbia il respiro della legislatura» ma chiudono confermando «che si muoveranno tutti insieme in modo compatto». Almeno per ora Renzi ha fermato la possibile e molto auspicata emorragia e di fatto tenta di riaprire il dialogo come recita il documento «senza veti».

NON CHE SIANO ESCLUSI del tutto nuovi arruolamenti alla spicciolata. Ma sarebbe un’ulteriore pezza destinata a sfilacciarsi in breve tempo. Cosa voglia dire avere a che fare con un’armata Brancaleone come quella messa insieme sinora Conte lo ha capito ieri, quando Clemente Mastella, interpretando il pensiero della moglie, la ha descritta «molto perplessa» per il voto di mercoledì sulla relazione Giustizia di Bonafede. È un voto a massimo rischio: le chances di una sonora sconfitta sono alte.

GLI ESPONENTI DELLA maggioranza stanno cercando di salvare il salvabile convincendo qualche senatore dell’opposizione a disertare l’aula, giusto per evitare il rischio di un botto che potrebbe finire con quelle elezioni anticipate che ciascun singolo senatore teme più di qualsiasi altra cosa. Ma addirittura perdere voti in un frangente simile sarebbe davvero il colmo. Sandra Lonardo si riprende il posto che è suo, parla in prima persona ma rassicura sino a un certo punto. Dubbiosa lo è davvero. Per votare vuole che il guardasigilli inserisca nella relazione un passaggio sulla durata dei processi e che Conte in persona se ne faccia garante. Probabilmente sarà accontentata e alla fine voterà ma il fatterello illustra come andranno le cose d’ora in poi: con l’obbligo di trattare ogni voto con un mucchio selvaggio di singoli senatori.

IN QUESTA CONDIZIONE ANDARE avanti è impossibile. Lo ripetono tutti ad alta voce, lo sussurra anche il capo dello Stato. Al Senato si conta il tempo a disposizione per agguantare il fatidico «allargamento della maggioranza». C’è chi non va oltre i 4-5 giorni, chi si spinge sino alle due settimane. Ma sono conti senza il Conte. Il premier ha sì detto che la maggioranza va assolutamente allargata ma non ne ha mai parlato come condizione ultimativa. Se non ci riuscirà si limiterà a prenderne atto e farà finta di niente. Se la sola strada aperta sembra essere proprio quella che ha giurato di non imboccare, cioè la riapertura del dialogo con Renzi, c’è sempre l’alternativa di non prendere nessuna strada e restare immobile, esercizio nel quale del resto l’inquilino di palazzo Chigi eccelle. Nessuno lo ha sfiduciato. Nessuno lo sfiducerà almeno sino all’inizio del semestre bianco. Dunque con o senza «la quarta gamba», con o senza i rinforzi a palazzo Madama, non si dimetterà. La stessa possibile bocciatura della relazione di Bonafede mercoledì prossimo lo preoccupa sì ma fino a un certo punto. A dimettersi, nel caso, dovrebbe essere il guardasigilli, ma il premier che c’entra?

ISTITUZIONALMENTE HA RAGIONE e il Colle lo sa. Ma la preoccupazione è oltre il livello di guardia. Per resistere in una situazione così fragile, anche con una maggioranza vera ma scarsa e a maggior ragione senza neppure quella, il premier dovrebbe scompaginare il fronte dell’opposizione. Impresa difficile, perché Forza Italia è certo allettata dalla promessa del proporzionale ma, con il miraggio del Colle fatto balenare a Berlusconi se si voterà in tempo, è oggi molto meno malleabile di quanto non fosse prima. E su Italia Viva, per ora, pesa la Fatwah collettiva: «Mai più con Renzi». Ma finché sarà confermata e salvo veri fatti nuovi la crisi rischia di avvitarsi in un eterno immobilismo.