Non sarà crisi e non sarà pace. Per Renzi il varo della legge di bilancio e del decretone ristori è provvidenziale. Gli permette di prendere tempo fino alla fine di dicembre, che è come dire gennaio, tenere Conte sulla corda e cercare un pertugio grazie al quale tirarsi fuori dal vicolo cieco in cui si trova. Ha provveduto a tenere alta la tensione anche ieri, disertando il fluviale vertice dei capidelegazione sulle misure natalizie, essendo Teresa Bellanova all’estero.

LA DELEGAZIONE CHE stamattina incontrerà il premier comprenderà entrambe le ministre di Iv, delle quali Renzi aveva ipotizzato le dimissioni immediate. Non ci saranno. Anche se non implicherebbero la crisi subito e sarebbe ancora possibile ricucire prima della sfiducia formale, la strada diventerebbe strettissima e Renzi non vuole bruciarsi ponti alle spalle. Gli manca il punto di caduta, perché un’ipotesi alternativa al governo Conte non appare. Ha sul collo il fiato di Mattarella, che forse non concederebbe solo due giorni prima di sciogliere le camere, come ha fatto filtrare in questi giorni, ma neppure settimane.

«UN GOVERNO NON VA avanti senza la fiducia di tutte le forze di maggioranza, tutte di pari dignità, senza la quale è inutile sottolineare quali sarebbero le conseguenze. Se sulla task force per il Recovery ci sono proposte alternative ben vengano», ha detto ieri il premier. Che, secondo voci e previsioni unanimi, oggi concederà qualcosa e forse molto pur di togliere a Renzi ogni alibi. Via la cabina di regia sul Recovery, sostituita da una «unità di missione» che peraltro farebbe sempre capo a palazzo Chigi e via anche la task force dei 300 consulenti.

Sparirebbe, secondo le voci, anche la Fondazione sulla cybersecurity e il premier potrebbe cedere la delega sui servizi segreti che sin qui, contravvenendo alla prassi, aveva mantenuto nelle sue mani. Sarebbero concessioni al Pd oltre che a Renzi e aprirebbero la strada a una trattativa nella maggioranza su quanto sostanzialmente modificare la struttura vagheggiata dal premier. Il leader di Iv rimarrebbe comunque senza appigli.

RESTA IL MES, ritirato fuori come «richiesta principale»proprio per avere qualcosa per giustificare l’eventuale rottura, ma la ricerca di una scusa sarebbe troppo evidente. Tanto più che persino il Pd frena, con il vicesegretario Orlando pronto ora ad affermare che il prestito va preso, sì, però non tutto perché «farebbe aumentare troppo il deficit» e comunque bisogna vedere se il tema viene posto «per risolverlo o per inasprire il clima». Non che ci siano risoluzioni possibili. I 5S sul Mes non sono disposti a concedere nulla, come ha ripetuto ieri il presidente della Camera Fico. Se Iv insistesse significherebbe solo voler arrivare a tutti i costi alla crisi.

RENZI VORREBBE arrivarci, non è un mistero. Ma le condizioni non lo permettono se non al prezzo di un azzardo forse esagerato persino per lui. La possibilità di sostituire Conte con la stessa maggioranza sono di fatto svanite dopo il rientro nei ranghi di Zingaretti e Di Maio. Le chances di un governo di unità nazionale non sono inesistenti ma neppure tali da permettere una scommessa facile.

Berlusconi apre uno spiraglio ma non è una sorpresa: «L’ipotesi di responsabili pronti a dare una mano se ci fosse la crisi sarebbe realistica. Ma senza le dimissioni di Conte non lo sarebbe più. Noi comunque ci rimetteremmo alla saggezza del capo dello Stato». Nella Lega Giorgetti sarebbe della partita: « L’opposizione non è pronta per governare. Ci vorrebbe un esecutivo ad ampia base parlamentare guidato da Draghi». Il capo non concorda. Per Salvini un governo di unità nazionale «con quelli che stanno per cancellare i dl Sicurezza» è fuori discussione.

Solo un governo di centrodestra, non guidato da lui, potrebbe andare avanti per portare il Paese alle urne. Figurarsi sorella Giorgia: «La strada maestra sono le elezioni».

CON UNA SCACCHIERA così disposta Renzi sa di non poter più escludere la possibilità per lui fatale di elezioni anticipate senza contare il rischio concretissimo che, pur di evitarle, alcuni senatori del suo gruppo possano decidere di non seguirlo.