Sapessi com’è strano vedere Matteo Renzi a Milano. Dopo avere girato mezza Italia e mezza Europa il presidente del consiglio si è degnato di passare una mezza giornata sotto la Madonnina. E’ arrivato nella settimana del salone del mobile, l’appuntamento che ogni anno muove enormi quantità di soldi e persone da tutto il mondo. Alla fine si è dato una mossa anche lui e per qualche ora ha giocato a fare il milanese più dei milanesi. L’altro giorno all’inaugurazione dell’evento la sua assenza era sta assordante, ieri invece la sua visita è stata un piccolo show come solo il milanese di Arcore riusciva a offrire. E’ stato un susseguirsi di sorrisi e stretta di mano, di proclami e battute, il tutto condito da abbondante ottimismo in salsa meneghina con forte accento da bullo fiorentino e la voglia di incarnare un efficientismo tipicamente lombardo che da queste parti Matteo deve ancora dimostrare.

Qui l’anno prossimo c’è l’Expo, in forte ritardo e continuamente a rischio per il susseguirsi di inchieste della magistratura. Urgono investimenti e decisioni forti per non fare una figuraccia mondiale. Letta sembrava esserne consapevole. Renzi finora invece non si è voluto legare a Expo e lo ha snobbato un po’ come ha snobbato la “capitale morale” mai così poco rappresentata come nel suo governo. Per questo il clou della sua visita si è svolto nella sede di Expo, in via Rovello, alla fine della sua breve apparizione milanese. Dopo un’ora a colloquio con Pisapia, Maroni, Lupi, il ministro dell’agricoltura Martina e il commissario Sala, Renzi se n’è andato attorniato da un capannello di microfoni: “Expo sarà una grandissima occasione – ha detto – e una sorpresa per i pessimisti, un altro pezzo dell’Italia che funziona. Da qui a un anno c’è molto ancora da fare ma la convinzione è che ce la possiamo fare». Un po’ pochino, ma è un inizio. E allora l’annuncio che conta spetta al commissario Sala: «È stato un discorso molto operativo, abbiamo discusso per 1 ora e mezza, Renzi ha fatto molte domande e ha voluto sapere tutto. La novità è che ci sarà una task force a Palazzo Chigi per agevolare il nostro lavoro. Manca poco tempo, ne avevamo bisogno». Insomma siamo ancora alle domande e alle task force quando il tempo è ormai scaduto da un pezzo.

Il presidente del Consiglio era arrivato in stazione Centrale intorno alle 16. Sul treno si era fatto aggiornare sullo strato dell’arte della fiera internazionale dal ministro Lupi e dal fedele Del Rio. Poi via verso il salone del mobile alla fiera di Rho-Pero, proprio accanto alla spianata che dovrà accogliere la fiera del prossimo anno. Dopo una lunga passeggiata – in cui fra l’altro ha detto che lunedì o martedì saranno comunicate le nomine dei vertici delle grande aziende partecipate dallo Stato – eccolo sul palchetto per il suo discorso all’insegna dell’efficientismo. Promette “lotta violenta contro la burocrazia” e che farà sentire la voce dell’Italia durante il semestre di direzione europea. Strizza l’occhio agli artigiani e bacchetta le banche, parla del futuro ma non dimentica la tradizione, design e orgoglio made in Italy. “L’Italia è una paese portatore sano di bellezza. Dietro alla bellezza dell’arte c’è sempre stata l’italianità”. Su tutto lo scontato elogio dell’operosità meneghina: “In voi vedo un’Italia viva più di prima, non certo un’Italia raggrinzita che dimostra non solo che ce la possiamo fare ma che ce la faremo”. Vincere e vinceremo.

Ma senza prenderci troppo sul serio, non siamo mica tedeschi. E allora ecco le battute. La prima sul palco: “Si parla tanto di F35 ma il vero problema sono gli F24”. La seconda durante la passeggiata nella centralissima via Dante. A una coppia gay che gli chiede quando potranno sposarsi risponde: “A Grosseto si fa già”. E poi a un passante che scherza: “Matteo sei il quarto presidente del consiglio che viene a Milano a parlare di Expo”. E Matteo: “Vedrai, il quinto sarà anche meglio”.