Universalmente apprezzato – non arriva un solo commento negativo, i 5 Stelle glissano e Salvini abbozza – il discorso di fine anno di Mattarella piace soprattutto per il richiamo al lavoro. «Mi limito a sottolineare che il lavoro resta la prima e la più grave questione sociale», dichiara il presidente della Repubblica. Le forze politiche generalmente, e genericamente, concordano.

Concordano ovviamente i sindacati. Per la segretaria della Cgil Camusso «è apprezzabile che nel suo discorso il Presidente si auguri di trovare il lavoro in ogni famiglia e, ancor più significativo, che chieda un lavoro dignitoso, tutelato, sicuro e dotato di diritti». Omaggi alla citazione del capo dello stato arrivano anche dai leader di Cisl e Uil. Ma Matteo Renzi cerca di superare tutti, proponendo «tre priorità per il 2018: lavoro, lavoro e lavoro».

Oltre lo slogan, c’è nell’intervento del segretario Pd (per il Corriere dell’Umbria) l’ennesima rivendicazione dei suoi successi – «in quattro anni l’Istat fotografa un aumento dei posti di lavoro molto significativo: da 22 a 23 milioni» – unita alla polemica da campagna elettorale: «In troppi dicono che non importa il lavoro, che basta un reddito di cittadinanza, un reddito di dignità. Non scherziamo! Niente assistenzialismo, per favore. Il lavoro è un diritto, ma anche un dovere».

La campagna elettorale del Pd resta però in salita, ed è proprio la crisi di consensi che i sondaggi registrano ad aumentare le difficoltà. Anche difficoltà pratiche che rischiano di far saltare la stessa coalizione di centrosinistra.

bonino
Ieri infatti la lista +Europa, quella formata dai radicali italiani con Emma Bonino come personalità simbolo, ha comunicato che inizierà a raccogliere le firme senza l’accordo di coalizione con il Pd. Era una delle due solo sponde che Renzi era riuscito a trovare, l’altra è quella dei verdi-socialisti non in discussione. I radicali europeisti erano in attesa di una risposta dal Pd sulla questione delle candidature nei collegi uninominali e, non avendola avuta, hanno deciso di comunicare la rottura proprio nel giorno di Capodanno. Costringendo i dirigenti democratici all’ennesima promessa: una soluzione si troverà.

In effetti sarebbe illogico se così non fosse. La coalizione serve ai radicali, che non hanno altrimenti possibilità di eleggere candidati nell’uninominale e faticherebbero ad agguantare la soglia di sbarramento, ed è pressoché indispensabile a un Renzi ormai rimasto quasi solo. Ma la legge elettorale costringe adesso le nuove liste alla raccolta delle firme, e la raccolta delle firme deve essere fatta collegio per collegio sui moduli nei quali è indicato il candidato nell’uninominale. Il candidato che dovrebbe essere frutto di un accordo con il Pd e sostenuto da tutta la coalizione. Non c’è ancora nulla del genere, il Pd si trova con un numero di collegi sicuri ormai molto ridotto (meno di cinquanta) e dunque non è in condizione di firmare alcuna intesa. Per le firme però il tempo stringe, vanno depositate entro il 29 gennaio: sono state ridotte ma restano abbastanza (375 in ognuno dei 63 collegi plurinominali). Per giorni i radicali hanno atteso un segnale da parte dei renziani, che avevano depositato un emendamento alla manovra con il quale si rimandava al 21 gennaio l’obbligo di indicare i candidati comuni, ma lo hanno poi ritirato cedendo alle richieste di Forza Italia. Fassino aveva promesso un qualche rimedio tecnico mai del tutto chiarito. Dal ministero dell’interno sono arrivati segnali opposti: proprio il dietrofront del Pd sull’emendamento rende impossibile un’interpretazione autentica del Viminale favorevole a quella che i radicali considerano l’unica interpretazione costituzionalmente corretta. E allora ieri la ista +Europa ha annunciato la rottura. «L’alternativa alla presentazione di candidati autonomi sarebbe la non presentazione della lista», hanno scritto Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova ed Emma Bonino.

Mandando così a dire a Renzi che non si accontenteranno di una manciata di candidati radicali nelle liste del Pd. I moduli per la raccolta delle firme però ancora non ci sono, i banchetti non potranno aprirsi ancora per qualche giorno e Fassino e il vice segretario Martina ieri sera hanno chiesto tempo. «Il Pd – hanno promesso – si impegna a sostenere organizzativamente la raccolta delle firme radicali», per chiuderla in pochissimi giorni.

Ma il problema per il Pd di scegliere i candidati nei collegi resta, e non riguarda solo il rapporto con +Europa.