L’ultima trovata nel linguaggio degli euroburocrati è l’«àncora»: il Patto di stabilità è «un’ancora per la fiducia (dei mercati) nell’eurozona», ha detto Mario Draghi e gli ha fatto subito eco il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, affermando che «è opinione generale che il Patto di stabilità debba rappresentare un’ancora della fiducia nella Ue, c’è un senso chiaro di responsabilità sul fatto che bisogna preservare la credibilità conquistata al prezzo di una dura fatica durante la crisi».

L’Eurogruppo (i 18 ministri delle finanze dei paesi euro) si è riunito ieri a Milano. Per quanto riguarda l’Italia, ha tenuto banco una polemica a distanza tra il premier Matteo Renzi e il nuovo super commissario economico Ue (vicepresidente della Commissione e superiore in grado allo stesso commissario Moscovici), il severissimo ex premier finlandese Jyrki Katainen.

Renzi in mattinata aveva quasi mandato al diavolo Dijsselbloem, con un tweet: «Dall’Europa non mi aspetto lezioni, ma i 300 miliardi di investimenti», ha detto, ricordando che «noi rispettiamo il 3%, siamo tra i pochi a farlo». Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, dal canto suo, ha ricordato che il deficit al 2,6% era un «obiettivo compatibile con un quadro macroeconomico diverso». Come a dire che nel nuovo Def potrebbe essere scritta una cifra diversa.

Katainen a questo punto è intervenuto, replicando a Renzi: «Alla Commissione Ue non siamo maestri, siamo collaboratori. Stiamo solo valutando quanto i singoli Paesi stiano rispettando le promesse e gli impegni che hanno preso nei confronti degli altri Stati membri».

Intanto all’Eurogruppo è stata ribadita la solita e diabolica perseveranza sulla strada della discesa agli inferi. E la seconda e terza economia della zona euro cominciano ad insorgere: Italia e Francia non ce la fanno ad applicare alla lettera gli impegni presi con Bruxelles – malgrado le rassicurazioni dei rispettivi governi – perché il prezzo politico sarebbe troppo alto.

Ieri la Francia, che sfora il deficit al 4,4% quest’anno (e pure in aumento rispetto al 2013), non è stata messa sul banco degli accusati direttamente. «Il budget francese non è stato evocato in particolare» ha assicurato Dijsselbloem. Che si è poi precipitato a dire che «abbiamo deciso di rispettare le regole». Ma Parigi non ci riesce.

Martedì, Valls presenta all’Assemblea un discorso di politica generale, seguito da un voto di fiducia. Il governo appena nato rischia: c’è la “fronda” socialista, che ha deciso l’astensione in massa, mentre Verdi e Front de gauche voteranno contro (come la destra). In arrivo ci sono tagli al welfare: già le pensioni più basse (inferiori a 1200 euro, 8 milioni di persone coinvolte) non saranno aumentate come vuole la tradizione a ottobre, perché «l’inflazione è troppo debole», spiega il governo.

La ministra degli Affari sociali, Marisol Touraine, si oppone ai tagli della previdenza sociale richiesti dal ministero delle finanze. Al Bourget, nel fine settimana, alla Fête de l’Humanité ci sarà una discussione tra gli europei che si oppongono all’austerità a oltranza. La debole risposta dell’Eurogruppo – stiamo studiando un policy mix tra regole, politiche di bilancio, investimenti e riforme strutturali – non è certo all’altezza della sfida.

La Francia potrebbe venire punita con delle sanzioni per lo sforamento del tetto del 3%, ma per ora il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, resta prudente, in attesa della finanziaria del 2015, che a Parigi sarà discussa in autunno e che rappresenta uno scoglio enorme per il governo, anche se otterrà la fiducia martedì 16.

Mario Draghi non ha nascosto il pessimismo per una «ripresa fragile», ma che «continuerà», ha scongiurato. Ma la recessione guadagna terreno nella zona euro: nel secondo trimestre la domanda interna era ancora inferiore del 5% a quella del 2008, prima della crisi, la disoccupazione è in continua crescita, la domanda latita e gli investimenti, pubblici e privati non partono in questo contesto di minaccia di deflazione.

Ma la Germania festeggia i propri avanzi, un record nella bilancia commerciale e nei conti correnti (pari all’8% del Pil). Persino Schäuble adesso cede un po’: «Siamo in un ambiente economico che richiede il rafforzamento degli investimenti in Europa, Germania inclusa». Ma prima Italia e Francia devono passare sotto le forche caudine delle «riforme strutturali», come hanno fatto prima di loro i paesi più piccoli, Grecia, Spagna e Portogallo in testa.