C’era un tale simpatico, c’è ancora, che nei momenti di difficoltà tirava fuori dal cappello un coniglio spelacchiato. Il giochino funzionava, ma erano altri tempi: meno tasse per tutti, più altre cose altrettanto piacevoli per un elettorato di bocca buona. L’idea non è originale ma c’è qualcuno che oggi per promettere altrettanto ha organizzato una gita premio per mille delegati all’Expo di Milano. Alla fine, dopo un discorso ricco di metafore che sconfinano nel nulla, sono tutti in piedi per applaudirlo con quella benevola attitudine da pensionati in vacanza che salgono sul pullman per assistere alla dimostrazione di un servizio di pentole. Una cosa così la chiamano assemblea nazionale, per statuto sono obbligati a convocarla, e dunque per la cronaca c’è spazio anche per la cosiddetta “minoranza interna”. Timidamente solleva questioni che da sole varrebbero la discesa dal pullman in corsa, buttandosi dal finestrino. Ma tant’è, il Pd così è ridotto e lo sanno tutti che “non è più tempo di discutere al nostro interno”: è un ordine. Questo è il messaggio per la “sinistra” del partito, quanto alla sinistra là fuori, per Matteo Renzi non è altro che un avversario da irridere come lo sono Lega e il Movimento Cinque Stelle.

Parla un’ora e mezza. Dice che lui è bravo, anche se in pochi mesi ha già disintegrato il “partito della nazione”. E poi promette un triennio di splendore. Non sa fare altro per rilanciare il Pd che sta annaspando proprio nei territori dove tra un anno ci sarà la verifica della sua fragile tenuta. A Milano, per esempio, nel 2016 si vota e lui non dice una parola proprio perché il partito non è in grado di esprimere al suo interno un nome all’altezza di Giuliano Pisapia (che ieri non è andato a rendergli omaggio). Non dice niente di Napoli, della giunta di Ignazio Marino e di “mafia capitale”. Tace anche sul pasticcio siciliano. Zitto sull’amico Verdini e su altre compagnie poco raccomandabili il cui probabile ingresso nel Pd è il segno tangibile della fine di una storia. Come ha detto Matteo Speranza (l’affondo più duro della resistibile minoranza), “la scorciatoia di avere come stampella Verdini e amici di Cosentino rappresenta un film dell’orrore che è meglio interrompere”.

Una bomba? Macché. Silenzio in una sala già mezza vuota. Del resto il delegato zelante sembra sbarcato all’Expo anche per distrarsi un po’. Se Francesca Puglisi si accalora in difesa della “buona scuola”, uno dei motivi per cui il Pd ha perso le elezioni, il corpaccione del partito si stiracchia e lascia la sedia alla ricerca di qualche boccone per sfamare il pianeta. Il meglio è già stato servito. Anche Gianni Cuperlo, lui che chiede “un’altra sinistra e non quella che imbarca gli avversari”, recita la sua preghiera e cordialmente se ne va.

L’eloquio non più credibile del premier è ricco di trovate melodrammatiche e chi chiude gli occhi sulla realtà può anche ritenersi soddisfatto: “Se una bambina che ha l’età di mia figlia muore durante una traversata, ciascuno di noi può pensare tutto ciò che vuole, ma non permettiamo ai nostri figli di pensare che i loro genitori, per un punto nei sondaggi, hanno rinunciato a essere persone umane”. Svolta sull’immigrazione? Chiacchiere, al massimo il Pd resta aggrappato sugli scogli di Ventimiglia. Più probabile allora vincere facile con una promessa alla portata di questo parlamento: “Entro l’anno faremo la legge sulle unioni civili”. Scatta l’applauso “unitario”, con Ivan Scalfarotto che tranquillizza gli italiani: “Ci credo, sospendo lo sciopero della fame”.

Ma non è questo il punto. Il botto arriva a fine discorso, come se fosse una campagna elettorale o una nuova investitura di se stesso: “Se continueremo a tenere in pista il cantiere delle riforme nel 2016 faremo una sforbiciata delle tasse che proseguirà. Per cinque anni avremo un impegno di riduzione delle tasse che non ha paragoni nella storia repubblicana”. Il tutto, “senza aumentare il debito”. Come? Non si sa. Per ora basta l’annuncio: “Nel 2016 eliminazione della tassa sulla prima casa”, via la cosiddetta Imu agricola e “nel 2017 ci sarà un intervento su Ires e Irap e nel 2018 interventi sugli scaglioni Irpef e sulle pensioni”. Ecco il messaggio: “Il Pd non è più il partito delle tasse”. Questo è pane per i commentatori, nonostante la considerazione di Alfredo D’Attorre (minoranza) che si chiede se mai “ci sarà una sede in cui possiamo non solo apprendere ma anche discutere se la priorità è togliere la tassa sulla prima casa a tutti, anche a chi ha l’attico, come aveva annunciato Berlusconi?”. Il resto del discorso di Renzi è pura accademia, con considerazioni lunari la cui vacuità le rende inattaccabili. Come quando parla di Europa che “così com’è non va” e però “noi siamo la colonna portante non lo zimbello”. Cita la Grecia, “il nostro paese non è il problema ma parte della soluzione”. Non ci credono nemmeno i delegati.

La nuova “narrazione” però punta più in basso. E’ per solleticare il portafoglio degli italiani e per lanciare la campagna d’autunno che il Pd si è rintanato nel padiglione 89 dell’Expo. L’uomo è in difficoltà ma decine di migliaia di visitatori, almeno ieri, gli sono passati accanto senza accorgersi di nulla. Prima o poi, se vorranno, saranno chiamati a dire la loro. Un anno passa in fretta e i sondaggi raccontano già un’altra storia.