Se Renzi non fosse rientrato in campo con la prepotenza che lo caratterizza, la politica italiana si sarebbe assestata sull’attuale equilibrio instabile.

Ma questo è un terreno sul quale questo Presidente del Consiglio ha dimostrato di sapersela cavare bene. Trascinare ancora in avanti questa situazione avrebbe significato, perciò, consentirgli di arrivare a fine legislatura e ritrovarsi, a quel punto, con un presidente rafforzato dal superamento della pandemia e dall’utilizzo dei fondi europei. Uno scenario da incubo per chi era uscito dal Pd facendo un suo partito per scuotere l’assetto politico del paese e si era ritrovato incompreso e destinato al dimenticatoio della storia.

Ma Renzi è un animale politico, primordiale e spregiudicato. Perciò si è infilato nelle contraddizioni della maggioranza – le bozze per la gestione dei fondi europei – catapultandosi con la velocità che lo caratterizza e ritrovando il centro della scena. Un ruolo che difficilmente mollerà perché si tratta forse dell’ultima occasione per non scomparire.

Siamo l’unico paese in Europa che, mentre deve affrontare una pandemia e, in tempi strettissimi, varare un piano di sfruttamento di risorse mai viste per avviare una riconversione del modello di sviluppo verso una nuova direzione di sostenibilità ambientale e sociale, un piano da far tremare i polsi a chiunque, è paralizzato da problemi di equilibri politici interni che obbediscono a logiche spartitorie e di consenso elettorale lontane un miglio dalle ambizioni di futuro tracciate dall’Unione europea.

Quindi siamo di fronte ad un rischio altissimo di fallimento e di perdita di credibilità tra i cittadini e in Europa.  Ma questo è il rischio che dobbiamo affrontare perché siamo dentro una transizione incompiuta. Il vecchio bipolarismo è stato bombardato da un soggetto terzo da esso stesso generato come il M5s che, come era naturale e prevedibile, non ce l’ha fatta a portare a termine la rivoluzione sognata.

Gli inquilini del vecchio edificio non riescono a liberarsi dalla nostalgia di ricostruirlo così come era e non riescono a disegnare un progetto nuovo.  Così le forze moderate si sono fatte divorare dai peggiori populismi, mentre quelle cosiddette progressiste hanno dovuto far ricorso ad un nuovo papa straniero.

Un presidente trovato per caso, ma prezioso mediatore, una ciambella di salvataggio alla quale attaccarsi per non affondare. Anzi si comincia a sperare che essa si trasformi in una vera e propria nave di soccorso, capace di traghettarci tutti su un nuovo territorio politico compiendo il miracolo di una transizione verso un nuovo assetto del quale l’Italia ha bisogno.

Allora il Presidente del Consiglio potrà farsi un suo equipaggio di fiducia anche imbarcando nuovi passeggeri e/o diventare il comandante indiscusso di tutti: benvenuta Ong Conte. Lo dico senza ironia, ma con un po’ di amarezza dettata dal vedere, ancora una volta la sinistra rinunciare ad assumersi la responsabilità di cogliere una occasione storica per mettere alla prova la sua volontà proclamata, ma mai attuata, di cambiare modello di sviluppo.

Ne parlava Pietro Ingrao quando ero giovane, ma oltre la declamazione non siamo riusciti ad andare. E allora non ci sono poi molte alternative o la crisi o la capacità di Conte di ritrovare la grinta di quel giorno che mise all’angolo Salvini assumendosi la responsabilità di sfuggire al ricatto e di guidare una nuova esperienza.

Allora non importerà se a guidare la svolta sarà uno che proviene dalla storia della sinistra. Meglio uno che provi a fare quelle poche cose di sinistra che oggi si possono fare e che, ad esempio in Spagna, si sta cercando di fare.

Ci si può accontentare di questo oggi? E perché no?