«Con Descalzi e Renzi senza pane sotto i denti». «Renzi-Descalzi: il primo cerca occupazione, il secondo crea disoccupazione». Non sono teneri i dipendenti dell’Eni, riuniti a centinaia davanti a Montecitorio, con i loro “capi”: Claudio Descalzi, amministratore delegato da quasi 3 mesi; e Matteo Renzi, il premier, ma anche uno dei “decisori” delle politiche della multinazionale, visto che il Tesoro detiene una quota di controllo. Si devono convincere questi due “big” a non smantellare le produzioni italiane, preferendo magari investimenti all’estero, soprattutto per rimediare alla vertenza più urgente: quella dei lavoratori del Petrolchimico di Gela, sito storico ma a rischio chiusura.

Ma non sono solo i dipendenti siciliani a essere preoccupati, tanto che ieri lo sciopero era nazionale, e ha anche avuto una massiccia adesione: il 90%, secondo i dati diffusi da Filctem Cgil, Filca Cisl e Uiltec Uil. Temono per il proprio futuro alla raffineria di Taranto, come a quella di Livorno. L’Eni è un vero colosso, il primo gruppo per fatturato e utili (dati Mediobanca) del nostro Paese, e non è in crisi: ma sta compiendo delle scelte, e i sindacati hanno ricevuto segnali di possibili ridimensionamenti in diversi stabilimenti italiani.

A Gela, ad esempio, si attende un investimento di 700 milioni, già annunciato, che non è arrivato. Il timore è appunto che il sito venga dismesso, anche perché in settori come quelli dell’energia – ad alto valore aggiunto solo se c’è una continua manutenzione e innovazione degli impianti – se ti fermi (è il caso di dire) sei perduto.

Anche a Taranto i lavoratori della raffineria Eni hanno scioperato e tenuto dei presidi davanti allo stabilimento. I tarantini chiedono che sia fatta chiarezza sulla salvaguardia produttiva e occupazionale dell’impianto pugliese dopo le dichiarazioni del management che ha paventato profondi ridimensionamenti. Tra dipendenti diretti e dell’indotto, sono 1.400 gli addetti interessati. Attenzione puntata sul progetto «Tempa rossa», che ha già avuto l’ok del consiglio comunale, ma che – va detto – è osteggiato dagli ambientalisti, preoccupati dalle conseguenze sull’ambiente.

Lunedì prossimo, invece, si terrà a Firenze un incontro con l’assessore regionale al lavoro e attività produttive, Gianfranco Simoncini, chiesto dai sindacati: porteranno le proprie preoccupazioni sul futuro del sito livornese, e la Regione è pronta a intervenire «su Eni e sul governo», spiega Simoncini.

Da Gela, per rappresentare gli impianti siciliani, sono venuti 300 lavoratori con 6 pullman: hanno incontrato davanti a Montecitorio le altre delegazioni dei 30 mila dipendenti del gruppo. Eni minaccia di chiudere tre delle sue cinque raffinerie e due petrolchimici, e tra gli stabilimenti più a rischio ne figurano proprio due isolani, Gela appunto (in provincia di Caltanissetta) e Priolo (nel siracusano).

Oggi l’incontro al ministero dello Sviluppo: forse si farà maggiore chiarezza sulle decisioni che il gruppo intende prendere. L’Eni illustrerà i suoi programmi davanti a sindacati, governo, Regione siciliana e comune di Gela.

«Il governo chiami l’Eni e chieda il rispetto degli impegni assunti con i sindacati», dice Susanna Camusso parlando al presidio. «Forse non bisogna annunciare ogni due ore che si intende vendere un’ulteriore quota dell’Eni – ha continuato, polemica, la segretaria della Cgil –Forse bisognerebbe invece dire che, essendo l’azionista di riferimento dell’Eni, si vogliono condizionare i piani industriali. Non solo per politica estera ma soprattutto per cosa succede nel nostro Paese e per le prospettive che ci sono». Infine, un ulteriore attacco ai piani del governo: «Non va bene questa linea delle privatizzazioni: bisogna fare una scelta diversa, quella di esercitare il ruolo di azionista»,

«Aspettiamo Renzi per chiarimenti, vogliamo che Palazzo Chigi convochi i sindacati e ci dica cosa vuol fare degli accordi sottoscritti appena poco tempo fa», dice il segretario Cisl, Raffaele Bonanni.