L’annuncio a Porta a Porta a inizio settimana, la conferma a Ottoemezzo ieri sera: la nuova linea di Matteo Renzi sulla legge elettorale esiste solo in televisione. La rinuncia ai capilista bloccati – punto fermo dell’amatissimo Italicum, sopravvissuto alla scure della Corte costituzionale solo per fare posto all’assurda regola del sorteggio per i pluricandidati eletti in più collegi – resta nelle parole dell’ex presidente del Consiglio, ma solo in quelle. Perché quando ieri si è parlato di legge elettorale durante la riunione del gruppo Pd del senato – chiedevano, i senatori, di non vedersi consegnato il pacchetto già confezionato dalla camera, ma sarà per forza così visto che i tempi si allungano e la legislatura si avvicina alla fine – il renzianissimo senatore Marcucci ha fatto parlare il cuore: «I capilista bloccati non vanno demonizzati, le preferenze sarebbero peggio». Il che è perfettamente coerente con le penultime dichiarazioni di Renzi, anche se non con le ultime. Coincide però con gli atti dei renziani, anche quelli più recenti.
Ieri infatti si è tenuta la riunione della prima commissione della camera che avrebbe dovuto tracciare una linea in calce alle tante (una trentina) proposte di legge elettorale che hanno presentato i partiti. Si è conclusa con il solito rinvio, ma questo non stupisce. È venuto fuori però che il Pd – anche quello ufficiale, renziano – sta cominciando a riconoscere che sul Mattarellum non si potranno fare passi in avanti. E dunque comincia a emergere la proposta che può piacere ai grillini e, da ieri, anche alla Lega e che in fondo è la più semplice e prevedibile: l’estensione al senato dell’Italicum. Che significa – anche se i grillini non ci stanno su questo – l’estensione anche dei capilista bloccati.

Facile a dirsi ma niente affatto a farsi, perché dalle macerie del progetto riformatore renziano – riforma costituzionale e legge elettorale seppellite dagli elettori e dai giudici costituzionali – è difficile costruire un sistema coerente. La legge in vigore per il senato infatti incentiva le coalizioni, quella in vigore per la camera le vieta espressamente. Le soglie di sbarramento sono diverse, al senato non è prevista la preferenza di genere e soprattutto non c’è alcun premio di maggioranza. Quello che c’è alla camera, però, è collocato talmente in alto che un solo partito non dovrebbe arrivarci (il 40% dei voti validi) dunque assomiglia al proporzionale che può conquistare consensi, anche a destra (Forza Italia) e a sinistra (Mdp).
Ieri Renzi in televisione ha scaricato ancora la responsabilità dello stallo – che va avanti da gennaio – sui suoi avversari, «non la chiamerò accozzaglia, ma è una vasta coalizione, quella che ha eletto Torrisi alla presidenza della prima commissione del senato». Posizione effettivamente chiave dove un presidente non di stretta obbedienza renziana potrebbe disturbare i piani dell’ex premier, ma la legge elettorale è ancora lontanissima da quelle stanze. Tocca dunque, secondo Renzi, a questa «vasta coalizione» fare una proposta. Anzi, si spinge a dire, «a noi va bene qualsiasi legge elettorale ci venga proposta in modo serio». Perché l’intervallo delle attese sta finendo. Renzi è ormai a un passo dalla rielezione alla guida del Pd, il tempo della legislatura si va esaurendo e dunque anche per i ritocchi e le «armonizzazioni» bisogna muoversi. Ma a maggio il rieletto segretario Pd non potrà evitare di fare ancora una volta la prima mossa. La proposta dovrà farla lui.