IE pensare che, dopo la vittoria di Elly Schlein, i due giuravano di avere davanti «praterie» di voti in uscita dal Pd. E invece niente: dopo la disastrosa performance alle regionali del Friuli (2,7%, fuori dal consiglio), tra Calenda e Renzi è già aria di divorzio. Rumoroso e livoroso, come nello stile dei due personaggi.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la scelta di Renzi di accettare la direzione del Riformista. Una decisione comunicata al partner poche ore prima dell’annuncio ufficiale, una settimana fa, seguito da una scomunica del capo di Azione: «Bisogna stare attenti a non alimentare conflitti di interesse, Matteo scelga tra politica e giornalismo».

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In questi ultimi giorni l’esilo filo che legava i due si è ulteriormente lesionato. E così ieri a mezzogiorno un’Ansa ha fatto scoppiare pubblicamente il bubbone. «L’unico problema dirimente oggi per la costruzione del partito unico dei liberal-democratici è che Renzi non vuole prendere l’impegno a sciogliere Italia Viva e a finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali», le parole di un anonimo dirigente del partito di Calenda che ha definito «inaccettabili i tatticismi durati mesi» dell’ex premier. Per concludere: «La pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita. In settimana si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere».

«La pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita. In settimana si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere»

Certo, i problemi di carattere tra i due contano. Così come conta la disinvoltura con cui Renzi passa da un’attività di consulenza pagata a Riyad alla direzione di un quotidiano infischiandosene dell’opinione di Calenda.

Ma il nodo della discordia è soprattutto come arrivare al congresso che in autunno dovrebbe (o forse è meglio dire: avrebbe dovuto) sancire la nascita del partito unico. I renziani vogliono partire dai congressi sui territori, dove contano di più; Calenda invece vorrebbe essere rapidamente incoronato leader.

Ma pesa anche il fatto che il fiorentino non ha dato alcuna garanzia di voler sciogliere la sua Italia Viva nel nuovo contenitore. Insomma, a Calenda non ha detto neppure «stai sereno».

«La vera ragione per cui Carlo è impazzito è che ha capito che qualcuno di noi vuole candidarsi contro di lui», attaccano i renziani. Chi? Luigi Marattin è il nome che circola con più insistenza. «Non vuole rinunciare ai soldi del 2 per mille (quasi un milione nel 2022), il ragazzo sui soldi non scherza», replicano da Azione.

Controreplica del tesoriere di Iv Bonifazi: «Abbiamo contribuito in modo paritetico a tutte le campagne elettorali, la scelta di come destinare i fondi l’ha fatta Calenda, optando in gran parte per affissioni recanti il suo volto».

Davide Faraone, Italia Viva
«I tatticismi sono tutti di Calenda, non di Renzi. Meno male che dal 10 giugno si vota in modo democratico» (al congresso, ndr)

Calenda, consapevole che un divorzio avrebbe ricadute anche sui fondi dei gruppi parlamentari e sulla campagna per le europee, prova a ragionare: «La prospettiva di un partito dei liberal-democratici resta l’unica utile al paese. Va perseguita seriamente e rapidamente con i soggetti realmente interessati. Polemiche da cortile non ci interessano».

«I tatticismi sono tutti di Calenda, non di Renzi. Meno male che dal 10 giugno si vota in modo democratico», replica il renziano Davide Farone. Maria Elena Boschi e Mara Carfagna provano a calmare gli animi, ma con scarsi risultati.

Da notare: in questa disputa non c’è traccia di contenuti politici, solo faide per briciole di potere. Le praterie di voti? Si sono rivelate un bluff. E ora? «Posizioni inconciliabili, per ripartire insieme ci vorrebbe un miracolo…».