Nel grande studio Sky di Milano, tutto blu come la nuova linea cromatica del Pd, i tre candidati alle primarie sono seduti. Una cortesia verso il presidente della Puglia Michele Emiliano, che per sorteggio troneggia al centro fra i due: ancora non può stare in piedi dopo la tarantella che gli ha azzoppato la corsa delle primarie. Ma «seduti» finisce fatalmente per essere la cifra del confronto: quello di ieri sera su Sky – l’unico che Renzi, favorito, ha concesso ai suoi avversari, in una tv satellitare per difendere il suo vantaggio ed evitare rischi di fronte al grande pubblico delle generaliste – e quello del 30 aprile, che il Pd renziano stavolta non strombazza come il grande evento delle scorse precedenti. La prima scaramuccia è sull’affluenza: Orlando fa il primo affondo sulle primarie sottotono e il rischio flop: se per l’ex segretario «tutto ciò che ha la cifra un milione davanti va bene», il Guardasigilli lo inchioda al suo passato: «2milioni di persone, è l’asticella che Renzi fisso nelle primarie del 2013».

I tre candidati ripetono stancamente le loro proposte: Emiliano meno grintoso del solito gioca in attacco su Renzi, Orlando inizia emozionato ma poi recupera. Renzi è sicuro di sé, per lo più lascia correre gli attacchi, i suoi tv coach lo hanno scongiurato di non «fare il Renzi»: può essere un boomerang.

Ma è Renzi a regalare qualche brivido di notizia. Nel giorno in cui il tam tam delle elezioni anticipate ricomincia a circolare nel palazzo, sgancia la prima bomba sul governo Gentiloni e sul ministro Calenda quando deve dire la sua proposta su Alitalia annuncia «una proposta nostra la governo entro il 15 maggio, dopo quindici giorni dalla mia eventuale elezione alla segreteria». Non è quella del governo, c’è da scommetterci. Altro brivido, stavolta freddo, quando parlando di legittima difesa benedice il dialogo fra Pd e Lega. E così mentre Orlando spiega «che un paese con più armi in circolazione non è un paese più sicuro, anzi l’Europa «deve occuparsi del traffico di armi», lui vira a destra: «Dobbiamo essere in sintonia con il volere dei cittadini: io non ho il porto d’armi ma sulla legittima difesa dobbiamo fare di più».

Orlando parla alla sinistra del partito, chiede di ridistribuire la ricchezza, tasse ai ricchi, come Michele Emiliano non è contrario a una patrimoniale. Ed è lì che Renzi lascia ampiamente intuire un altro attacco al governo: «La soluzione vera è ridurre il debito pubblico con una manovra che sia in grado di non uccidere l’economia reale, quindi potere superare il fiscal compact. Serve un’operazione shock sul patrimonio immobiliare e con una imposta finanziaria».

Orlando, in piena versione Fgci, racconta che da ragazzo in cameretta teneva il poster di Berlinguer e Allende, Renzi ammette senza complessi il suo poster dei Duran Duran. Quanto alla redistribuzione, Renzi rivendica gli 80 euro. In realtà rivendica tutto: e a Emiliano che chiede di ripristinare l’art.18 replica con fastidio difendendo il Jobs act: «Non mi basta, ma a quelli che dicono che si difende il lavoro con i cortei e con i convegni, io dico che il Jobs act ha creato 711mila posti di lavoro. Se qualcuno sa far meglio, si accomodi».

Si innervosisce un po’ anche quando Orlando lo attacca per aver definito Barroso un burocrate, «è un politico». Parte l’unico duello della serata: «Tu hai votato il fiscal compact», «Io non ho votato il fiscal compact, l’ha firmato il governo Berlusconi. E sul pareggio di bilancio, anche tu eri a favore, con Monti». Orlando però sta attento a non rinnegare l’azione del governo, muove qualche compita critica per esempio sull’atteggiamento di Renzi sull’Europa e sulla sua rincorsa ai populisti: «Delle volte Andrea ho la sensazione che tu sia vissuto su Marte. Orlando in Consiglio dei ministri ha votato tutto insieme a me. Tutto». Orlando cerca di parare il colpo, sa che questo è il suo tallone d’Achille, quindi parla agli elettori più: «Abbiamo discusso più di quello che lui non racconti. In certi momenti non abbiamo fatto del Pd un luogo di confronto».

Nel finale il Guardasigilli prova a vendicarsi: gli chiede se esclude gli accordi con Forza Italia nella «malaugurata» ipotesi che non si cambi la legge elettorale (e cioè quella che l’ex premier auspica). Renzi contrattacca: «Tu sei stato ministro in un governo con Forza italia», «Non posso escludere le larghe intese se c’è il proporzionale. Lavorerò per evitarlo».