È caricato a molla, parla a raffica, dà istruzioni a Maria Elena Boschi e Graziano Delrio seduti accanto a lui a palazzo Chigi, dì tu, no anzi non lo dire… La sortita della ministra dell’istruzione Stefania Giannini, prima dell’inizio del consiglio dei ministri, ha contribuito a elettrizzare il clima dopo l’uno-due di Piero Grasso con le interviste a Repubblica e poi a Lucia Annunziata su Raitre. Ma se la richiesta di un supplemento di «riflessione» avanzata al premier dalla leader di Scelta Civica perché «è un po’ inconsueto che sia il governo a presentare un ddl» sulla riforma costituzionale del senato non ha immediate conseguenze (qualche ora dopo si tramuta in un sì al ddl, approvato dai ministri all’unanimità), il botta e risposta tra Matteo Renzi e il presidente del senato va avanti per tutta la giornata.

Intervistato dal Corriere della sera il presidente del consiglio si dice «molto colpito» dall’altolà di Grasso intervenuto nella discussione sulla riforma «con una sorta di avvertimento: ’occhio che non ci sono i numeri’». Dal canto suo Grasso, iscritto di fatto nella lista dei «conservatori», si mette «dalla parte di Davide» perché «nella mia vita ho cercato di combattere contro i Golia, contro tutto quello che blocca la nostra vita» e contro «il potente che ti vuole schiacciare». E sul suo profilo Fb rivendica «la possibilità di esprimere la mia opinione». A sera Renzi, nell’intervista su Skytg24 dopo la conferenza stampa a palazzo Chigi, rincara: «Non si è mai visto che un presidente del senato intervenga su un procedimento in corso». E ancora Grasso, che tira fuori l’ormai sinistro «state sereni»: nessuna interferenza tra le opinioni e la sua attività a palazzo Madama, assicura.

Ma non è solo Grasso a innervosire Renzi, che ha deciso di puntare tutta la sua posta sulle riforme, pronto a far saltare lui il banco per tornare alle elezioni, anche se alle urne dice di non voler «nemmeno pensare, non non voglio stare a fare la minaccia, intanto perché spetta al presidente della Repubblica». Ma «non sono un uomo per tutte le stagioni, non pensino che siccome sto comodo sulla seggiola resto qua senza fare le riforme». Ma «deve essere chiaro che anche chi frena andrebbe a casa». Insomma, se non è una minaccia ci somiglia molto. Anche i forzisti scalpitano, Brunetta e Romani chiedono di dare precedenza all’Italicum, ma Renzi ricorda che del Nazareno comprendeva senato e Titolo V, «Berlusconi diceva che avrebbe rispettato il patto, non ho motivo per dubitarne, se Romani ha un’altra opinione è un problema suo».
Avanti tutta, dunque. Tenendo fermi quattro paletti: il senato delle autonomie non potrà esprimere il voto di fiducia e votare il bilancio. Non sarà elettivo e i senatori non riceveranno indennità. Il premier dà anche altre date: entro aprile pubblica amministrazione, fisco e innovazione tecnologica. Tra martedì e mercoledì prossimi approvazione del Def e nella settimana di Pasqua via ai decreti per gli 80 euro in più in busta paga.

Ma la «grande svolta», la scommessa sulla quale Renzi non sente ragioni è quella delle riforme istituzionali. Alla faccia di Grillo che avrebbe firmato l’appello dei giuristi perché «sta a rosicà più di tutti». E sfidando i senatori, certo che «la stragrande maggioranza non potrà scacciare questa speranza», i contrari« saranno in minoranza, al senato e nel paese». Perché il premier ammette: «Non so se ci sarà un lieto fine». Ma berlusconianamente, chiama gli italiani al suo fianco: «Stanno dalla parte di chi capisce che se tu chiedi ai cittadini, a un imprenditore, a una mamma di rischiare, se a rischiare non sei anche tu non è credibile».

Anche il Quirinale, tirato in ballo dai giornali per sue presunte valutazioni rispetto alle polemiche, si fa sentire: Giorgio Napolitano è convinto «della necessità ormai improrogabile di una riforma che segni il superamento del bicameralismo paritario», dice l’ufficio stampa. Ma non per questo esprime valutazioni «sulle soluzioni concrete».