Impermeabile alle smentite della realtà elettorale, Renzi torna ala carica col miraggio eterno del 40%: «Se smettiamo di litigare, insieme con i compagni di viaggio ce la possiamo fare». Non ci crede neanche lui ma la sparata mattutina serve a tacitare eventuali ribelli. Anche perché è accompagnata da un pronunciamento secco: «Sono mesi che cercano di mettermi da parte. Ma io non mollo». Così chiude giochi che non si erano in realtà mai aperti.

A sera, occasione l’appuntamento disertato da Di Maio sulla 7, insiste invece con il modello di campagna elettorale che ha deciso di seguire: più grillino di Grillo. Pronto a brandire contro il pentastellato le argomentazioni preferite degli M5S: «Vorrei chiedere a Di Maio perché ha solo il 30% di presenze in aula: dovrebbe prendere il 30% dello stipendio». E che dire di «quella bambina morta perché i genitori non la avevano vaccinata?».

Persino Floris sbotta: «Che c’entra?». Inutile ricordargli le sconfitte: «Abbiamo perso città importanti, ma altre ne abbiamo vinte, come Reggio Calabria o Lecce. E se ci hanno portato via due Regioni noi in questi anni gliene abbiamo strappate cinque». Ma la vittoria più grande, giura fingendo di ignorare la realtà, è il jobs act: «Non è tanto i comuni che hai vinto o hai perso, ma i 986 mila posti di lavoro in più creati». E’ su questo, sulla ferrea volontà renziana di non modificare nulla nella sua politica, che fioriscono i malumori nel partito. Peccato che proprio di questo nessuno osi parlare apertamente.

Le fibrillazioni, le richieste di correzione di rotta che sembrano fioccare in mattinata sono solo un falso movimento. Il Franceschini che propone di «copiare la destra», suggerendo cioè che tutte le componenti della coalizione propongano il proprio aspirante leader, sfonda una porta già aperta. Da Renzi nella Conferenza programmatica e prima di lui dalla legge elettorale, fatta apposta per indurre la formula geniale partorita ora dall’ingegnoso Dario. Non è una bomba e neppure un petardo ma un’uscita morbidissima e concordata col segretario che dopo un po’ conferma: «D’accordo con Franceschini».

Il capo dei deputati Rosato sembra andare oltre: «Paolo Gentiloni è spendibile. Ce ne sono tanti spendibili». Oddio, un siluro vero? Macché. L’intento era solo quello di corroborare la tesi renziana, peraltro per una volta fondata: del premier è inutile parlare prima delle elezioni. Ma la battuta è goffa, si presta a fraintendimenti. Il capo ordina correzione via Whatsapp: meglio precisare. Rosato non perde tempo: «Renzi è legittimato dalle primarie». Non se ne parli più.

Qualche brivido lo provoca il capo dei senatori Zanda, secondo cui sta a Renzi e solo a lui «valutare se in questa fase convenga che lui sia segretario e anche candidato presidente». Nonostante il tono quasi ossequioso l’uscita del presidente dei senatori non era prevista e i renziani rizzano le antenne: «Non sarà stato Franceschini a ispirare tanto ardire».

A ogni buon conto i tosti di palazzo Madama replicano a muso duro. Marcucci esclude che ci siano problemi legati alla candidatura: ogni partito va con la propria. E lo Statuto, che fa del segretario il candidato di partito, lo abbiamo votato tutti, ricorda minaccioso Esposito. Se qualcuno chiede il passetto a lato, è un vero coro, comprendente renziani doc come Serracchiani, a invocare una coalizione vera e un accordo con Mdp.

In realtà i temi messi in campo dai frondisti veri o presunti sono insignificanti. Quello della candidatura, col Rosatellum, è un falso problema. L’accordo con un Mdp che di accordarsi non ha alcuna intenzione, salvo rinnegamento radicale dell’intera politica renziana, è un miraggio.

A modo suo lo dice anche renzi in tv: «D’Alema vuole che mi dia fuoco in piazza?».

Il punto è che Renzi, nonostante la sparata sul 40%, si preoccupa poco di riempire il carniere elettorale. Il suo progetto resta quello di allearsi con Fi partendo da una posizione di maggiore forza, e quella è garantita in partenza, non saranno un paio di punti percentuali in più a cambiare le cose. Forse di qui alla Direzione Pd di domenica prossima qualche movimento meno falso verrà fuori. In caso contrario tutto si ridurrà, come commentano i renziani con cinico realismo, alla solita trattativa sulle candidature.