Su twitter è già comparso pure l’hashtag #Ignaziostaisereno. Il copyright è della deputata Giorgia Meloni ma la battuta non è affatto infondata. Probabilmente il sindaco di Roma Ignazio Marino non si aspettava che il neo premier Matteo Renzi osasse cominciare la sua mission impossible per risanare l’Italia mettendo a rischio default e commissariamento proprio la Capitale. E invece ieri mattina, davanti all’ostruzionismo dei grillini che avevano presentato alla Camera centinaia di emendamenti al decreto sugli Enti locali – che non è solo un «Salva Roma bis», come impropriamente ribattezzato dai leghisti – il governo ha semplicemente rinunciato alla conversione in legge del provvedimento e lo ha ritirato. Niente fiducia e niente ghigliottina in Aula, questa volta, per arrivare in tempo a concludere l’iter entro domani, giorno di scadenza del decreto. Improvvisamente tra Palazzo Chigi e il Campidoglio la distanza è diventata siderale. Per tutto il giorno Marino ha cercato inutilmente di contattare via telefono il premier che è a Treviso, ed è riuscito a parlare solo con il sottosegretario Delrio. Nel pomeriggio, quando si reca prima a Piazza Colonna (presente il deputato abruzzese del Pd, Giovanni Legnini) e poi nella sede del Mef, gli incontri “al vertice” sono essenzialmente solo tecnici .

E invece la posta in gioco è molto politica: «È forte il sospetto che tutto questo accada perché il Senato ha bloccato la vendita di nuove quote Acea», commenta la senatrice di Sel Loredana De Petris riferendosi al lungo braccio di ferro che si è combattuto contro l’emendamento di Linda Lanzillotta (ex assessore al Bilancio di Roma con Rutelli). E a Palazzo Madama il M5S era di fatto un alleato: i grillini infatti non si sono opposti al decreto e anzi lo hanno emendato in commissione introducendo la norma sul contrasto agli affitti d’oro. E ora, davanti all’accusa di aver portato Roma sull’orlo dell’abisso, reagiscono: «Sono tutti bravi a metterci sulle spalle la colpa del ritiro del decreto Salva Roma. Noi non ci stiamo e rispondiamo che se il decreto era così importante, perché è rimasto per 57 giorni al Senato e solo tre giorni alla Camera, senza tempo sufficiente per discutere anche gli emendamenti proposti da noi? Perché non si è fatto un provvedimento che fosse solo Salva Roma, circoscrivendo l’argomento come proposto dal presidente Napolitano prima di Natale?», chiedono in conferenza stampa i grillini ricordando che il primo decreto “Salva Roma”, diventato poi omnibus, venne bloccato dal capo dello Stato perché a rischio di incostituzionalità. Bocche cucite invece nel gruppo dei pentastellati in Campidoglio, anche se il consigliere Enrico Stefano dirama una nota per individuare nei «giochi interni del Pd» la responsabilità di quanto accaduto. «Dopo i 12 miliardi di buco lasciati da Veltroni nel 2008 “coperti” con l’istituzione della gestione commissariale – spiega Stefano – si voleva trovare rimedio al buco lasciato dal precedente sindaco Alemanno che alla fine del 2013 era di oltre 800 milioni».

Sul tavolo delle trattative tra il sindaco Marino e il governo Renzi ci sarebbe il testo di un nuovo decreto legge che l’esecutivo si appresta a varare entro domani in modo da prolungare la vita alle norme necessarie a Roma Capitale per chiudere il bilancio 2013 (anche se, secondo un certo orientamento giuridico, non dovrebbero esserci problemi in ogni caso perché tutte le operazioni contabili di bilancio sono state concluse con le norme allora vigenti), e guadagnare un po’ di tempo sul 2014, scongiurando così la «catastrofe» di un default. Un provvedimento, quello che domani il Cdm dovrebbe varare, che dovrà in qualche modo rispettare i requisiti di necessità e urgenza e dunque estenderà ulteriormente il suo raggio d’azione ad altre emergenze del Paese (alluvionati sardi, terremotati abruzzesi e marchigiani, ecc). Secondo alcune indiscrezioni, c’è la possibilità che la copertura finanziaria venga assicurata attingendo al fondo della Cassa Depositi e prestiti. «Ci auguriamo – aggiunge durante la conferenza stampa a Montecitorio la deputata grillina Federica Daga – che non ci siano alcune norme presenti nel Salva Roma che ci chiedevano di vendere beni pubblici, mettere in dismissione le partecipate in perdita e davano impulso alla cementificazione della città». Contraria a un terzo “Salva Roma” anche la vice presidente del Senato Linda Lanzillotta, ma da tutt’altro punto di vista. La senatrice di Scelta civica, favorevole alla privatizzazione dei servizi idrici e alla vendita di Acea, aspetta ora al varco il nuovo governo augurandosi che «almeno questa volta», voglia «imporre anche le misure strutturali necessarie al risanamento del bilancio del comune di Roma». La trattativa è tutta qui.