Renato Sellani – che ci ha lasciato un po’ in punta di piedi sul declinare dello scorso anno – era un poeta del pianoforte, un signore della tastiera, un «profeta» della canzone italiana e degli standard. La sua ultima incisione discografica Glad There Is You (Ponderosa Music&Art) aiuta a ripensare alla sua musica ed alla sua figura: la foto che lo ritrae davanti al piano mentre si accende l’ennesima (la milionesima?) sigaretta ben lo ritrae, con le consuete camicia-giacca-cravatta e quell’eleganza tutta sua, tra l’eccentrico ed il demodée.

egistrato in aprile-maggio 2014 in uno studio meneghino (e Milano era la città adottiva di Sellani, nativo di Senigallia dove nacque nel 1926), il doppio cd propone tre distinti repertori che nei recital del pianista si combinavano fondendosi. Nel primo cd ci sono composizioni originali e brani della «popular music» italiana; nel secondo noti standard americani, un pezzo di Monk, uno di J.J.Johnson, una coppia di «chanson» francesi che, dopo un interludio gershwiniano, portano a musiche di Fauré.

Si può dire, dopo aver ascoltato le ventinove tracce solitarie, che Glad There Is You ha un’intima, profonda e nitida coerenza, che tra l’iniziale Autoritratto e l’interpretazione conclusiva della Pavane scorre molta della lunga carriera di Renato Sellani. Si mettano, per ora, da parte le sue qualità di compositore per evidenziare la squisita, polistilistica capacità di interprete in vari ambiti. Il pianista ha frequentato da molto vicino il mondo della musica «leggera» italiana (da Jula De Palma a Mina, con Sellani nel 1988 la cantante cremonese ha registrato le più struggenti versioni di due suoi classici come E se domani e Il cielo in una stanza ): è per lui naturale cantare attraverso il pianoforte – con accenti ora lirici ora drammatici – motivi di Bongusto, Califano, Bruno Martino, Modugno, Endrigo, Garinei-Giovannini, Trovajoli, Battisti.

Ma, per motivi generazionali e artistici, Sellani sa spingersi indietro fino a D’Anzi ed avanti sino a Dalla e Concato. Tutto, e sempre, con ispirazione e poesia, trasformando in strumentale quello che è vocale, asciugando ed essenzializzando, per arrivare alla nuda anima poetica dei brani, al loro «mood» profondo.

La stessa operazione, con identica profondità, Renato Sellani sa compierla con gli standard: il romanticismo di My Foolish Heart, l’inquietudine di Angel Eyes, il dramma di Ne me quitte pas. La Pavane di Fauré, poi, è un gioiello di interpretazione, un esempio palpitante del sinolo tra vita e arte, così fuse nel quotidiano lavorìo pianistico di Sellani.

Altrettanto si percepisce nei brani originali (spesso nella forma canzone AABA), composti in solitudine o insieme a Giulio Libano, testimoni sonori delle molteplici esperienze artistiche di Sellani (artefice di musiche di scena, collaboratore del Piccolo Teatro di Milano, spesso a fianco di Tino Buazzelli) e delle sue infinite collaborazioni: Franco Cerri, Billie Holiday, Chet Baker, Dizzy Gillespie, Lee Konitz, Sarah Vaughan, Enrico Rava, Tiziana Ghiglioni (con cui incise tributi a Luigi Tenco, Mina, Gino Paoli e Lucio Battisti)…

Autoritratto è un caleidoscopio di atmosfere, con passaggi meditabondi a tempo quasi libero e improvvisazioni su un astratto walking bass. Anna Bri è un pezzo «sospeso», romantico, con improvvise accelerazioni. Un lenzuolo per sognare (scritto con Marchesi e Muller) è cantabile ed onirico, con uno dei temi in stile stride-piano. Dolfo rapsodico, con un tempo che fluttua e ci sono ancora Dov’è Walter, A-A-, Patetico.