Il 24 ottobre il Coordinamento Nazionale delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) è stato ricevuto dal sottogruppo di lavoro del Ministero della Sanità e delle Regioni. Il coordinamento si è costituito con l’obiettivo di vigilare sulla piena realizzazione della legge 81/2014 e valorizzare le buone pratiche che in alcune regioni si sono avviate con la chiusura degli Opg e l’apertura delle Rems.

Il radicamento territoriale, in connessione con tutta la rete dei servizi, è forse il cambiamento più significativo.

In questa prospettiva la Rems non sostituisce in alcun modo l’Opg, tanto che i criteri d’invio, l’accesso, la cura, la dimissibilità sono tutti elementi che nella legge 81 connotano in maniera innovativa le strutture che accolgono pazienti in misura di sicurezza detentiva (da considerare “residuale” rispetto ad altre forme di misura di sicurezza) e con le quali risulta inconciliabile il regolamento penitenziario dell’Opg. Ciò in una situazione in cui, purtuttavia, il codice penale e il codice di procedura penale restano ancora inalterati: persiste il “doppio binario”, il concetto di incapacità e di non imputabilità esclude “il folle reo” dal normale percorso giudiziario. La misura di sicurezza “detentiva”, nonostante che le sentenze della corte costituzionale la abbiano parzialmente modificata, si basa sul riconoscimento della pericolosità. La persistenza dell’incapacità e della pericolosità come figure giuridiche di riferimento rafforza la contraddizione tra cura e custodia, già propria del manicomio civile. Una contraddizione che piuttosto che scomparire si trasforma in un equilibrio da gestire con intelligenza. Il clima dell’incontro è stato positivo con la disponibilità ad accogliere le proposte che dovranno essere confrontate anche con altri interlocutori, il Ministero della Giustizia e il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

È stata accolta la richiesta del Coordinamento di essere consultato su tutte le questioni che riguardano l’applicazione della legge 81/2014, così per la prima volta potranno aver voce in capitolo gli operatori che si trovano in prima linea a gestire una serie di contraddizioni e difficili equilibri tra i diversi poteri. Vi è stato accordo su quasi tutti i punti, in particolare quelli riferiti allo statuto della “persona con misura di sicurezza” (non più “internato”), con la scomparsa di ogni riferimento al regolamento penitenziario; su una visione del sistema di accesso che vede la Rems come “soluzione residuale” rispetto alla prevenzione e alla messa in campo di alternative da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale; alla visione stessa della Rems non come luogo chiuso in sé, ma come insieme di servizi che si integrano tra loro; sulla globalità del piano di cura e del “progetto terapeutico riabilitativo individuale” che comprende le uscite sul territorio per relazioni sociali e lavorative e non solo singoli permessi.

Si è fatto inoltre riferimento alla figura del garante delle persone private della libertà; alla facilitazione di un “cruscotto operativo regionale interistituzionale” con la Magistratura e il Dap, che eviti l’assegnazione casuale alle Rems e fornisca soluzioni alternative concordate; all’abolizione della precisazione sui livelli di sicurezza, all’esclusione dei sanitari da qualsiasi atto o pratica che non siano di rilevanza sanitaria e terapeutico-assistenziale. Gli esiti dell’incontro saranno discussi in una riunione sul tema che si terrà a Trieste il 17 novembre in occasione della conferenza internazionale The right [and the opportunity] to have a life (Trieste 15 – 18 novembre) promossa dal Dipartimento di Salute Mentale in collaborazione con l’Oms (www.triestementalhealth.org).