«In questo partito non si discute più di forze produttive, perché si discute di Civati», non si pensa «alle forze reali» ma solo «a quelle che stanno a Montecitorio». E dietro a Matteo Renzi, «un ignorante», c’è solo «un vuoto politico». Insomma, «ma il Pd serve ancora?».
Ma è Roberto Speranza a lanciare la sfida al segretario/premier: : «Le riforme vanno fatte, e noi ci siamo», ma «non si può abusare all’infinito del nostro senso di responsabilità». È un Pd «del dialogo e dell’ascolto», quello che vorrebbe il leader dell’Area riformista, senza «toni ultimativi». Non «un capo e poi una moltitudine», «perché indebolire le forze intermedie non aiuta a governare: se asfalti questi mondi alimenti una cultura di destra». Non serve «il megafono di palazzo Chigi» ma «un grande soggetto collettivo, autonomo e autorevole».
Anche perché l’uomo solo al comando ha commesso almeno «tre errori» dopo «aver eletto Mattarella». Dice Speranza: «Abbiamo pensato di governare il Paese, dividendolo. Abbiamo sbagliato su Jobs act, scuola e legge elettorale». Perché poi in fondo il problema è «avere paura della parola sinistra», gettare fango sulle lotte della sinistra: «Ho detto a Renzi che sbaglia se lui ne parla male perché sega l’albero su cui è seduto e prima o poi vincerà la destra». E infine: «Se il Partito della nazione è un soggetto indistinto in cui stanno dentro tutto e il contrario, se questa è l’idea noi saremo contro».
In sala c’è anche Pier Luigi Bersani, che non commenta perché la relazione di Speranza «è stata perfetta, io non ho nulla da aggiungere. Oggi è il giorno di Roberto». Incoronato così leader della minoranza dall’ex segretario, in vista di una unificazione con la Sinistra dem di Gianni Cuperlo.
E’ proprio Cuperlo a scagliarsi contro «quella pessima idea del Partito della nazione» che «si è spento nelle urne». E ora che «l’allarme è suonato per tutti», occorre «accelerare i tempi».
«Immaginarsi stampella della strategia scelta nell’ultimo anno è sbagliato e perdente», avverte Cuperlo rivolto a quella minoranza dialogante a prescindere. Occorre invece mettere «insieme le forze nei gruppi» ma programmare in autunno «una grande assemblea».
Anche la sinistra riformista però, deve cambiare tutto «come fece – è la metafora evocata da Cuperlo – Rivera nel calcio»: «Prima di lui il migliore era chi metteva la palla sul piede dell’attaccante. Lui ha iniziato a lanciare la palla dove non c’era nessuno ma dove sapeva l’attaccante sarebbe arrivato per primo. A noi – conclude il deputato dem – serve la stessa fantasia, ci serve un progetto storico perché la sinistra non può vivere solo di protesta ideale».
La risposta indiretta di Matteo Renzi arriva a sera, con una battuta regalata al pubblico seduto al sole che assisteva a Firenze all’intesa tra lo Stato e i buddisti della Soka Gakkai, perché la lingua batte dove il dente duole: «A sinistra si soffre sempre di più, ma a destra di solito sono più numerosi». E poi: «La sinistra estrema si sta sciogliendo… nel senso tecnico, non politico. Ma non applaudite perché sennò domani scoppia la polemica».