L’infinita telenovela sulle regole di Natale inizia prestissimo, il 25 ottobre, quando il premier Conte, illustrando il terzo Dpcm della seconda ondata, dopo due notti quasi insonni, spiega agli italiani: «Se a novembre rispetteremo le regole riusciremo a tenere la curva sotto controllo ed allentare poi le misure per affrontare dicembre e Natale con maggiore serenità». Da allora sono passati quasi due mesi e, tra infinite trattative e mediazioni, annunci, scontri, veti, dietrofront, ancora non sappiamo quali saranno davvero le regole.

Il primo scontro di cui si ha notizia arriva a metà novembre, quando si inizia a parlare di togliere il coprifuoco alle 22 per il cenone di Natale. Il ministro Guerini è poco profetico: «Non c’è bisogno di dare alle persone delle regole per Natale, lo fanno da sole». Francesco Boccia, già nella parte del poliziotto duro insieme a Roberto Speranza, lo gela: «E’ presto per parlarne, vedremo i dati di dicembre».

Improvvisa arriva la slavina, quando Conte il 23 novembre annuncia da Lilli Gruber: «Non possiamo concederci vacanze indiscriminate sulla neve». Immediata la rivolta dei governatori del Nord e dei lavoratori della neve, il premier cerca sponde in Europa, dalla Spagna alla Francia alla Germania, Bruxelles interviene per dire che loro non decidono, Zaia s’infuria, Boccia concede: «Non escludo che la stagione invernale possa partire 40 giorni dopo, come è stato per gli stabilimenti balneari». Intanto Conte e la ministra Azzolina tentano di riaprire le scuole a dicembre, stoppati dai governatori, che per giorni tengono banco per contestate i 21 parametri indicati dagli esperti per decidere i colori delle regioni: più furiosi quelli in arancione e in rosso con De Luca che batte tutti sul fronte anatemi.

Il 30 novembre, quando ormai è chiaro che tutte le regioni vanno verso il giallo, scoppia la discussione sullo stop ai viaggi tra regioni per le feste. I governatori vogliono aprire, gli esperti no: «Non possiamo ripetere gli errori di Ferragosto». Conte il 1 dicembre ai capigruppo di maggioranza dice che vorrebbe consentire alle famiglie di riunirsi, poi sente Boccia e Speranza che gli fanno cambiare idea e nel Dpcm del 3 dicembre inserisce lo stop. Il Pd si divide, con 25 senatori che seguono la linea del capogruppo Marcucci e protestano, insieme ai renziani e ai governatori guidati da Toti. Marcucci e Speranza litigano in Senato, con urla, Franceschini prova a sedare, fronda anche tra i dem alla Camera, Zingaretti s’arrabbia.

Si discute ancora in lunghi vertici se consentire di raggiungere i genitori, alla fine passa la linea che si può raggiungere fuori regione solo un genitore «non autosufficiente». Gli aperturisti ottengono di tenere aperti gli alberghi per le vacanze (ma niente cenone, solo servizio in camera), Renzi ottiene l’ok ai ristoranti a pranzo a Natale e Capodanno, ma stop agli spostamenti tra Comuni nei giorni 25 e 26 dicembre e 1 gennaio. Marcucci si arrabbia di nuovo, la destra presenta una mozione in Senato per aprire ai viaggi tra piccoli comuni, mezzo Pd è quasi d’accordo, Conte il 10 dicembre si scopre dello stesso parere: altre giornate per capire come intervenire su un decreto legge varato solo pochi giorni prima. Poi il premier decide di lasciare il cerino alla Camere, Boccia teme il liberi tutti, De Luca tuona: «Dobbiamo avere il coraggio di dire che quest’anno Natale e capodanno non esistono».

La telenovela sembra arenarsi sui tecnicismi degli emendamenti per aprire ai piccoli Comuni, poi arriva il colpo di scena dello scorso weekend: Merkel chiude la Germania per tutte le feste e sui media italiani circolano le immagini dello shopping natalizio, con assembramenti nei centri storici. La musica cambia: Speranza e Boccia tornano alla carica, la sera di domenica 13 nuovo vertice a Palazzo Chigi: torna l’idea lockdown per le feste.

Il giorno dopo nuova riunione fiume del premier con i capidelegazione dei partiti di governo, coinvolti gli esperti del Cts. Il governo litiga per ore, poi affida la decisione agli scienziati, che litigano per due giorni e non decidono di chiedere la zona rossa, perché i numeri del contagio (pur restando più alti del previsto, soprattutto il numero dei contagi quotidiani, l’incidenza e le vittime) non la giustificano: l’indice Rt è sceso in tutta Italia sotto 1, Conte e i tecnici ripetono che il sistema a colori «ha funzionato», dunque dovrebbero valere le regole gialle. Il lockdown per precauzione è il vero oggetto del contendere, ma è una fattispecie complicata, e conte da giurista lo capisce.

Il 15 dicembre Conte parla di semplici «ritocchi» alle norme già in vigore e la partita pare chiusa. Il 16 nuovo vertice fiume con i capidelegazione, esce l’ipotesi di una zona rossa a singhiozzo dal 24 al 3 gennaio, con tre giorni gialli il 28, 29 e 30. Il cittadino, ancorché informato, si smarrisce. Conte cerca di limitare le restrizioni al minimo, prendendo i colleghi per stanchezza, i renziani danno forfait. Ieri la missione in Libia, poi il summit con Renzi che nel frattempo minaccia di affossare il governo. Oggi dovrebbero finalmente decidere. Senza fretta.