Romano Prodi può mettersi l’animo in pace. Lo scontro che divide la sua Bologna sul referendum per il finanziamento comunale alle scuole paritarie, e che tanto lo affligge, è destinato a salire man mano che ci si avvicina a domenica, giorno del voto. «L’ultima cosa di cui ci sarebbe stata bisogno», ha detto il professore nei giorni scorsi. Lui la sua scelta l’ha fatta. Dovendo decidere se mantenere o meno il milione di euro che ogni anno il comune dà alle scuole paritarie (l’80% delle quali cattoliche) Prodi si è schierato per il sì, senza per questo rinunciare a criticare il modo in cui l’intera questione è stata gestita sia dal Pd che dalla giunta Merola che adesso, al di là del risultato che uscirà dalle urne, rischiano di perdere consensi tra i cittadini. E non pochi.

Ieri a dimostrazione (se pure ce ne fosse stato bisogno) di come la consultazione di domenica sia ormai da tempo diventata una questione nazionale, sul referendum è intervenuto anche il governo attraverso il ministro dell’istruzione Maria Chiara Carrozza. Che invece di schierarsi con la scuola pubblica, si è sdraiata a difesa di quella privata. «L’interesse mio e del ministero è appoggiare gli accordi che vedono il ruolo della paritarie per coprire tutti i posti per i bambini» ha detto il ministro del Pd. «Penso che il referendum abbia dato un inquadramento politico che va al di là della necessità per i bambini stessi e delle famiglia di avere una risposta a settembre» ha proseguito Carrozza, convinta che le scuole paritarie abbiano «un ruolo importante perché offrono un servizio che permette a un comune di soddisfare le esigenze delle famiglie». Al ministro ha risposto la Cgil: «Difenda la scuola pubblica, laica e inclusiva anziché schierarsi a senso unico a favore della paritarie», ha detto il segretario generale della Flc Mimmo Pantaleo per il quale il referendum «parla anche al governo Letta e alla ministra per restituire alla scuola pubblica la dignità e la qualità che le spettano».

Intanto Bologna è ormai letteralmente divisa in due. La stessa giunta del sindaco Virginio Merola scricchiola, con il Pd e Sel su fronti opposti della barricata. Il partito di Vendola si è infatti schierato con Articolo 33, il comitato promotore del referendum contro il finanziamento alle paritarie. Lasciando Merola e il Pd a condurre la battaglia con al fianco Pdl, Lega, Fratelli d’Italia e Curia bolognese. Alleati a dir poco imbarazzanti, anche in tempi di larghe intese. Non a caso la Fiom ha chiesto ai vendoliani di fare una scelta, che se non significa un vero e proprio «strappo» dalla giunta, almeno di avere «un forte chiarimento» con Merola. «Sel deve fare delle scelte, altrimenti si rischia di entrare in una confusione rispetto alle persone e ai cittadini», ha spiegato a una radio locale il segretario regionale Bruno Papignani. «Non sono nemmeno iscritto a Sel e queste sono scelte che riguardano loro – ha poi aggiunto riferendosi a un eventuale uscita dalla maggioranza- però un sindaco che dice che a lui dell’esito del referendum non gliene frega niente pone un problema».

In città nel frattempo è scoppiata anche la guerra del «silenzio». Convinto che anche per i referendum consultivi valesse il divieto di propaganda nelle 24 ore precedenti il voto, il comitato promotore ha prenotato per venerdì piazza Maggiore per la manifestazione conclusiva. Il risultato è stato che i favorevoli al mantenimento del finanziamento hanno preso la piazza per sabato sera, scatenando le proteste di Articolo 33. Ieri Merola ha emesso un’ordinanza che vieta per domenica ogni azione di propaganda entro 300 metri dai seggi. Troppo poco per i referendari, che avvertono il sindaco: «Dovrà assumersi ogni responsabilità nei riguardi di ogni episodio che inciderà sulla serenità del voto».