La maggioranza plaude alle proposte dei saggi di Cartabia – non tutta la maggioranza perché i 5 Stelle sono fermi nel ruolo di custodi dell’eredità Bonafede – ma la strada della ministra della giustizia verso la riforma del processo penale non è affatto in discesa. La concordia si è registrata sulla esposizione orale delle riforme proposte dalla commissione Lattanzi, la settimana prossima arriveranno gli emendamenti e i partiti prima di andare oltre una condivisione di massima degli obiettivi vogliono vedere dentro i testi. Non hanno molto tempo a disposizione, perché secondo i piani esposti da Cartabia il primo sì della camera al disegno di legge delega sul processo penale (in parallelo a quello del senato sul processo civile) deve arrivare entro la sospensione estiva. Altrimenti ci si può dimenticare di chiudere il percorso parlamentare entro la fine dell’anno, che poi significa entro la sessione di bilancio, come il governo si è impegnato a fare nel Piano nazionale di riprese e resilienza. Il guaio è che i prossimi due mesi saranno anche quelli nei quali entrerà nel vivo la campagna referendaria sulla giustizia, dove una parte della maggioranza procederà in direzione oggettivamente contraria a quella delle riforme di Cartabia.

Non solo la Lega di Salvini, che a breve presenterà i quesiti abrogativi con i radicali e li depositerà in Cassazione e comincerà la raccolta estiva delle firme, ma anche Forza Italia che non può certo farsi spiazzare dall’ingombrante alleato sul fronte della sfida alla magistratura. E così il sottosegretario forzista alla giustizia Francesco Paolo Sisto deve prodursi in una dichiarazione assai sofisticata, sostenendo che «i referendum sulla giustizia non danneggeranno il processo di riforma perché la democrazia diretta è sempre un plus, se esercitata nelle forme previste dalla Costituzione. Al contrario, questa iniziativa può essere un modo per sensibilizzare ulteriormente il paese sulla necessità di intervenire sul sistema giudiziario». Frase che la responsabile giustizia del Pd Anna Rossomando bolla come «cerchiobottista». Il referendum abrogativo in effetti non è un stimolo né un suggerimento per il parlamento, ma un potere legislativo in capo agli elettori che, nel caso dei quesiti radical-leghisti, punterà tra le altre cose alla separazione netta delle carriere di giudici e pm. «Sisto dice che il referendum è uno strumento di democrazia, grazie, lo sapevamo, ci mancherebbe – aggiunge Rossomando. Ma il suo ragionamento poteva forse avere un senso in un’altra fase del lavoro di riforma della giustizia – spiega – non adesso che siamo arrivati al punto. Ora abbiamo un testo di legge e degli emendamenti già presentati, sono in arrivo quelli del governo e ogni iniziativa contraria può essere solo di ostacolo».

Il Pd ieri ha parlato di giustizia nella segreteria, mettendo a punto le proposte anche sull’altro corno del problema, quello del Csm e dell’ordinamento giudiziario. Letta è pronto a presentar