Era il 19 marzo del 2011 quando gli egiziani si recarono per la prima volta alle urne dopo le rivolte del 25 gennaio. Votavano per la dichiarazione costituzionale voluta dai militari in accordo con i Fratelli musulmani. Allora partecipò al voto oltre il 70% degli egiziani e fu possibile anche una piccola campagna elettorale per il «no» di laici e movimenti giovanili. Ora sembrano passati anni luce. I seggi sono chiusi dopo il terzo referendum costituzionale in tre anni.

I «sì» alla Costituzione dei militari, approvata da una commissione non eletta dopo il golpe del 3 luglio 2013, hanno trionfato. Ma non è una vittoria di tutti gli egiziani: appena il 36% degli aventi diritto si è recato alle urne. I «sì» superano il 97%. La partecipazione al voto è stata di poco superiore al 32% raggiunto in occasione del referendum costituzionale del 2012 quando si votava per il testo approvato da una Commissione, composta da membri nominati da un parlamento eletto democraticamente ma boicottata dai laici. Addirittura al Cairo, Giza, Minia, Sohag, Assiut, Fayum, Beni Suif, Suez e Marsa Matruh l’affluenza alle urne nella consultazione del 2014 è stata più bassa che nel 2012. La Costituzione è stata approvata con percentuali bulgare a livello nazionale che riportano indietro il paese alle sei elezioni presidenziali che hanno incoronato negli anni Novanta e Duemila l’ex presidente Hosni Mubarak, lasciando uno spazio marginale alle opposizioni. Il Consiglio nazionale per i diritti umani ha contato oltre 180 violazioni per brogli amministrativi, orari di voto e atti di violenza o condizionamento del voto. Tuttavia, una celere diffusione dei risultati (che saranno resi noti ufficialmente sabato) ha evitato le attese pletoriche delle precedenti tornate elettorali che nascondevano una sorta di negoziato sull’esito del voto tra esercito e islamisti (come nel caso delle presidenziali del giugno 2012)..

L’approvazione della nuova Costituzione rappresenta una grande vittoria per il capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi. Ma non solo, è la conferma del controllo esercitato dall’élite militare sull’élite politica in Egitto. A questo punto sembra scontata la partecipazione alle elezioni presidenziali, che si terranno prima delle parlamentari ed entro l’estate, dell’uomo forte del nuovo Egitto, che ama rappresentare sé stesso come l’erede dell’ex presidente Gamal Abdel Nasser, ma è più vicino ai metodi autoritari di Hosni Mubarak.

La nuova legge fondamentale apre la strada all’esclusione definitiva dalla scena politica della Fratellanza musulmana e di parte del movimento salafita. Questo ha già innescato gravi episodi di terrorismo che potrebbero aggravarsi se venissero chiuse scuole, ospedali e opere caritatevoli controllate dalla Fratellanza in tutto il paese. Tuttavia, nell’anno in cui sono stati al potere, gli islamisti hanno fallito nel denunciare gli abusi dell’esercito e nel favorire riforme sostanziali del sistema politico egiziano. Non si può però escludere il ritorno degli islamisti in occasione delle elezioni parlamentari come candidati indipendenti, con la ripetizione del consueto rapporto fatto di concessioni e repressione da parte dell’establishment politico nei confronti degli islamisti, ben rodato durante la presidenza Mubarak.

Come se non bastasse la nuova Costituzione permetterà il ritorno dei politici del vecchio regime, da Ahmed Shafiq a Zakaria Hasmi, esclusi dall’arena politica secondo il testo voluto dagli islamisti, ma che chiedono a gran voce il ritorno al governo. E così, gli uomini del Partito nazionale democratico, in larga parte rilasciati dopo pochi mesi di prigionia, potranno tornare a ricoprire incarichi pubblici. Non solo, i militari estendono i loro poteri. Il Consiglio supremo delle Forze armate nominerà il ministro della Difesa per i prossimi otto anni, conferendo a questa carica un potere senza precedenti. Infine, torneranno i tribunali militari per i civili, cancellati dagli islamisti.

All’annuncio dei risultati sono scoppiati scontri in tutto il paese, in particolare nelle principali università egiziane. È di uno studente morto e almeno quattro feriti il bilancio di violenti scontri tra sostenitori di Morsi e polizia all’università del Cairo. Nel pomeriggio di ieri, studenti pro-Morsi hanno bloccato l’accesso all’università, occupando l’ingresso di piazza Nahda, dove si è tenuto il secondo grande sit-in islamista dopo Rabaa al Adaweya. Violenti scontri anche nelle università di Alessandria e Assiut, tra studenti pro-Morsi e polizia. In tutto sono 400 gli arresti nelle due giornate in cui si è votato. Il primo a congratularsi per il successo elettorale con il ministro della Difesa Abdel Fattah Sisi è stato il presidente russo Vladimir Putin. E così torna l’asse Mosca-Cairo insieme ad una gestione autoritaria e populista del potere politico. È la fine del sogno di piazza Tahrir.