Il quesito c’è, ma il referendum non ci sarà. Matteo Renzi è andato ieri sera in televisione, al telegiornale di Rete 4, per spiegare più di quanto non avesse già fatto in diverse interviste la sua prossima mossa. Il referendum per abrogare il reddito di cittadinanza. Un referendum impossibile viste le norme di legge che regolano questo istituto. O possibile al più presto nel 2024. Renzi lo sa ma fa finta di niente.

Il testo che ha sventolato ieri alla telecamera è semplice. «Volete che sia abrogato il decreto legge 28 gennaio 2019 numero 4 “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni” convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019 numero 26 limitatamente al Capo I articoli da 1 a 13»? Si tratta proprio dei 17 articoli che hanno introdotto il reddito di cittadinanza. In teoria possono essere cancellati da un referendum abrogativo. Che può essere promosso da 5 consigli regionali o da un quinto dei componenti della camera o del senato (eventualità precluse al partito di Renzi che non ne ha la forza) o infine presentando in Cassazione il quesito e raccogliendo 500mila firme di sottoscrizione. Renzi però non ha depositato il quesito, lo ha solo annunciato in tv e ha spiegato di averci lavorato lungamente.

Lavora lavora, avrà scoperto che le firme possono essere raccolte ogni anno dal 1 gennaio, per un periodo di tre mesi consecutivi, ma vanno tassativamente depositate entro il 30 settembre. Oggi siamo al tre settembre e siamo evidentemente troppo avanti. Anche a voler utilizzare la nuova possibilità di sottoscrizione digitale, che fino a quando non entrerà in funzione la piattaforma governativa (pare a dicembre) è da organizzare a cura e a spese dei promotori.

Dunque, se quel foglietto sventolato da Renzi in tv avrà un seguito potrà essere solo il prossimo anno, con una raccolta firme – cartacea e digitale – che andrebbe conclusa e depositata in Cassazione entro il 30 settembre 2022. Scriviamo dovrebbe perché la legge sui referendum (legge 352 del 1970) all’articolo 31 stabilisce che «non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due camere». Visto che la fine della legislatura è fissata al 2023 è proprio il caso del prossimo anno, un anno pre-elettorale.

A meno che, si potrebbe pensare, non accada che la legislatura si chiuda prima, immediatamente dopo e a causa dell’elezione del presidente della Repubblica. Nel caso di voto anticipato nel 2022, Renzi potrebbe tenere il suo referendum contro il reddito di cittadinanza nel 2023? No, nemmeno in quel caso. Proprio a causa dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, infatti, l’anno prossimo non si potrebbe votare mai prima del 30 marzo e dunque si cadrebbe nell’altro divieto previsto dal già citato articolo 31: nessuna richiesta di referendum può essere depositata nemmeno «nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali». Addio 30 settembre 2022. Di raccolta firme se ne parlerà solo nel 2023, con referendum nella primavera 2024, o magari. proprio perché nel 2023 si vota. tutto andrà spostato di un altro anno e il referendum sul reddito non si potrà fare prima del 2025.

Tutto questo Renzi lo sa, anche perché glielo hanno spiegato. Ma ha deciso di andare comunque avanti con l’annuncio di un referendum improponibile perché ha capito che il reddito di cittadinanza sarà comunque modificato. Contando su un racconto pubblico distratto delle sue gesta, vuole intestarsi le correzioni che arriveranno. «Hanno già cominciato a dire che il reddito di cittadinanza si può cambiare per paura del referendum», ha detto ieri. Altroché. Paura di un referendum impossibile.