Il tavolo sul «reddito di cittadinanza» convocato ieri da Luigi Di Maio – «con il presidente Conte» ha specificato il vicepremier e ministro del lavoro e dello sviluppo in un question time alla Camera – ha un sapore da prima repubblica e una solida tradizione nella seconda. Si ricorda quella convocata sotto uno dei governi Berlusconi, quella che partorì le 280 pagine del programma dell’«Unione» di Prodi, quelle sotto il governo Monti e Letta e infine quella di Renzi.

Nella «terza repubblica», che sembra sia iniziata il 4 marzo, il «tavolo» dovrebbe «coordinare i ministeri che se ne interesseranno e per realizzare questo strumento» ha detto Di Maio. La novità è dovuta alla necessità di serrare le fila dopo le prime crepe nel governo create dal ministro dell’Economia Tria il 22 giugno a Lussemburgo. Per via XX settembre il reddito è importante, ma non può essere fatto subito, nel 2018. I Cinque Stelle la pensano all’opposto, e vogliono avviare i motori della riforma dei centri per l’impiego. Con Di Maio Tria ha detto che «non si è mai entrati nei dettagli e mai è stata espressa quest’idea». Al tavolo a Palazzo Chigi Di Maio avrà modo modo di spiegarsi. Ma Tria ieri ha tenuto il punto: «Parliamo di provvedimenti di un programma di legislatura».

Più che alla collegialità, elemento invocato nei casi di cabine di regia, la mossa di Di Maio sembra rispondere all’esigenza di accelerare i tempi comunque lunghi e incerti per istituire il «reddito». Oltre le gravose difficoltà tecniche e amministrative, le coperture economiche sono un altro nodo. E sul bilancio, ha sostenuto Tria, «i giochi sono quasi fatti». Per Di Maio non è così. Per lui è «una priorità».

La dichiarazione del premier Conte, in vista del vertice Ue di oggi e domani, va letta in questa cornice. Oltre ai fondi su agricoltura (a rischio tagli) e sulle migrazioni, Conte intende discutere di fondi Ue per i centri per l’impiego, come vuole Di Maio. Prospettiva negata dalla commissaria Ue al Welfare Thyssen, ma necessaria per ottenere i primi due miliardi da mettere nel motore della riforma. Contro chi gli ricorda – il presidente del parlamento Ue Tajani (Forza Italia) – che il suo «reddito» non è coperto, Di Maio risponde che le coperture ci sono: a cominciare dall’ever green della spending review e dal taglio agli F35. È il secondo atto del conflitto in vista della legge di stabilità in autunno. Allora Cinque Stelle e la Lega si giocheranno la golden share sul governo. E, forse, occorrerà aprire una cabina di regia anche sulla Flat Tax.