Chi è Mickey (Simon Rex) che conosciamo su un bus senza un soldo, nonostante le arie che pretende di darsi, mentre sta tornando a casa, a Texas City – periferia orizzontale dominata dalle raffinerie di petrolio? Attore porno ormai bandito da Los Angeles è costretto a riparare dall’ex moglie Lexi (Bree Elrod) che sembra però molto poco felice di vederlo. E così la madre di lei (Brenda Deiss, già attrice per Minervini) con la quale la donna abita, che anzi è ancora più dura. Lui insiste, promette che ora è diverso, che le aiuterà e infine riesce a piazzarsi. A quel punto si tratta di risalire, di trovare dei soldi e qualcosa da fare nonostante (o grazie) il suo passato come Mike Saber. La folgorazione gli arriva appena vede Raylee detta Strawberry (è la luminosa Suzanna Son), giovanissima cameriera del Donuts Hole in cui scorge un magnifico potenziale di porno star. Anche lei sogna di andarsene e la celebrità, per l’uomo diventa l’occasione che lo riporterà in pista – del resto strumentalizzare gli altri a suo vantaggio per Mickey è un’abitudine, e con quella ragazza puòricominciare a sognare.

Red Rocket è il nuovo film di Sean Baker in cui il regista, tra i più talentuosi nel cinema indipendente americano oggi, ritrova il suo universo imprevedibile e poeticamente «ai margini» dove vivono tutte le sue storie; quell’America lasciata indietro che ha alimentato la scalata al potere di Trump – il film è ambientato nel 2016, durante a campagna presidenziale che lo ha portato alla Casa Bianca. Dalla galassia di hotel ormai residenza per gli homeless sorti intorno al Disney World del precedente e molto bello The Florida Project (in Italia uscito come Un sogno chiamato Florida), si sposta dunque nel Texas sottoproletario e industriale, tra case scassate e scoloriti sogni del «Make America Great Again», con una commedia tragicomica che guarda (strabicamente) anche un certo soft-core italiano degli anni Settanta. Ancora una volta il paesaggio si fa protagonista nel modo che il regista utilizza per «inquadrare» il mondo, andando dentro le cose ma senza un realismo esibito, piuttosto nelle sfumature che mostrano i paradossi , le assurdità, i sentimenti di una visione umana di quelle zone «marginali» eppure fortemente presente nell’immagine americana.

IN UNA INTERVISTA a «Film Comment» rilasciata durante lo scorso festival di Cannes – dove il film è stato presentato in concorso – Baker diceva: «Cerco di conoscere meglio le situazioni legate a un’economia sotterranea alla quale sono costretti tanti americani oggi. Credo che il pubblico sia interessato alla diversità anche se Hollywood non ci crede. Penso invece che ci siano temi universali che riguardano ogni persona».
E questa «diversità» caratterizza i personaggi di Red Rocket, girato in ventitre giorni con un milione di dollari e un cast di attori non professionisti come sempre reclutati su Instagram – « Trovare personalità interessanti, cercare volti che ho voglia di filmare, è una parte fondamentale del mio lavoro» dice Baker. Malmessi, disperati, a cominciare da Mickey, gradasso a sprezzo del ridicolo – nessuno crede alla sua fama, per gli altri è un poveraccio uguale a loro – hanno tutti bisogno di sentirsi «importanti», chi vantando un passato nell’esercito come il vicino di casa o i muscoli come uno dei figli della gang. E di quel «sogno americano» (distorto) sono attori, loro malgrado, come lo è Mickey pronto a approfittare di tutti e a sua volta «sfruttato», col corpo segnato dalle pilloline blu per aumentare le prestazioni sessuali sui set.

BAKER però non giudica, e questa è la sua forza, e la cifra che lo rende unico visto che diventa sempre più raro incontrare personaggi come i suoi fuori cioè dalle «regole» della morale. Si limita a narrarli ma senza cinismo, anzi cerca di rivelarne una qualche innocenza, con la semplicità di uno sguardo empatico persino quando come Mickey si manifestano sempre più spregiudicati. Ma questo è appunto lo spazio di libertà di un film senza «eroi», con persone a cui non si cerca una qualche sublimazione: la sfacciata ex star X trumpiana restituisce la cartografia di una realtà imposta in questi anni in America, variazione del capitalismo su scala ridotta. Che affiora con precisione e con umorismo, nella scala di un cinema che sa conservare la sua indipendenza di sguardo , e il gusto di una messinscena senza pregiudizi.