Visto da pochi, si stampi per tutti. Il «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), detto anche «Recovery plan», sarà discusso stamattina dalle dieci nel Consiglio dei ministri. Lunedì e martedì prossimi il parlamento farà giusto in tempo ad ascoltare le comunicazione del presidente del consiglio Mario Draghi e votare le risoluzioni. Il progetto al quale è stata agganciata la speranza di attutire l’impatto della crisi economica innescata dalla pandemia, adattando l’economia a una transizione «eco-digitale» di alcuni settori (questo significa «resilienza» – l’opposto di »resistenza» – sarà inviato entro venerdì 30 aprile alla Commissione Europea con la quale inizierà una negoziazione sull’impostazione generale e i dettagli contenuti in una bozza di 318 pagine che investirà 191,5 miliardi di fondi del «Next Generation Eu» più 30 miliardi da un Fondo complementare nazionale. I fondi saranno così suddivisi: per la «Digitalizzazione» 42 miliardi; per la «rivoluzione verde» 57; per le Infrastrutture» 25; per «Istruzione e ricerca» 31; per «Inclusione e coesione» 19; per la Sanità 15.

SALVO UN FUTURIBILE «Portale Pnrr» attraverso il quale a i cittadini sarà permesso di monitorare l’andamento dei lavori o dei commissariamenti per le opere pubbliche (ci sarà un punteggio come sui social network?) non è prevista una vera discussione pubblica del piano dei sogni alle quali le classi dirigenti e i partiti che compongono la maxi-maggioranza draghiana hanno affidato la speranza della propria riproduzione scambiandola con quella del paese.

DOPO SETTIMANE di segretezza e cortine fumogene, sia il parlamento che la società sono stati esautorati da una discussione pubblica sul piano. Lunedì 26 aprile a piazza Montecitorio ci sarà la mobilitazione della «Società della cura» che sostiene il piano alternativo «Recovery PlanET», frutto del lavoro di 14 tavoli tematici ai quali hanno partecipato centinaia di persone. I principi sono opposti a quelli seguiti dal governo: all’opacità della democrazia degli «esperti» è contrapposta la «democrazia reale»; contro «competizione-concorrenza-produttività» si parla di «cura-cooperazione-uguaglianza».

IL PIANO PRODURRÀ i primi effetti a partire tra il 2024 e il 2026. La «ripresa» porterà un aumento del Pil di «almeno 3,6 per cento più alto rispetto all’andamento tendenziale» e diminuirà la disoccupazione di quasi 3 punti. Non è chiaro che tipo di lavoro sarà prodotto, restando intatto il Jobs Act e la legislazione sulla precarietà di massa, ma è facilmente immaginabile come sarà. Nemmeno sSul piano sociale è chiaro cosa accadrà in attesa che arrivi l’ora X. Per ora sappiamo che, solo nel 2020, ci sono stati un milione di poveri in più e un altro di disoccupati in più. A queste persone si dice che la crescita li aiuterà a migliorare la loro condizione tra tre anni. In attesa di una riforma degli ammortizzatori sociali, più volte annunciata, il «Recovery» è basato su una solida impostazione neoliberale. Nelle bozze si parla di «modernizzazione del mercato del lavoro» (le «politiche attive del lavoro») e di «rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi». In questo quadro sono prospettate le «riforme di contesto» sulla «pubblica amministrazione, giustizia civile, semplificazione della legislazione e della concorrenza». Oggi siamo all’inizio di un lungo percorso di trasformazione nella regolazione dei processi produttivi, dell’infrastruttura tecno-burocratica, di alcune politiche sociali e del collocamento.

NELLE BOZZE si parla di una «governance» con un coordinamento centrale presso il ministero dell’Economia e la supervisione politica di Palazzo Chigi. E ci saranno «task force locali» responsabili dei singoli investimenti e delle riforme. Nella maggioranza si è discusso in queste ore sulla composizione del comitato ristretto tra premier e i ministri per lo più tecnici responsabili della supervisione. Qualcuno sostiene che dovrebbe essere allargato anche ai ministri competenti. Altri vorrebbero estendere l’invito ai capi delegazione dei partiti. Il rinvio da ieri a oggi del Cdm si spiega anche perché i partiti della maggioranza difendono le proprie bandiere. La Lega cerca una soluzione alternativa all’abolizione di «Quota 100» in arrivo misure per i lavori usuranti. M5S pensa al prolungamento del «superbonus» del 110% oltre il 2023 non solo per le case popolari come previsto. Il Pd si occupa del «cash back» sui pagamenti elettronici che, per ora, resta in vigore anche se non dovrebbe essere più compreso nel «Pnrr»