Dati record, in positivo, per la produzione industriale, ma dal fronte del lavoro si confermano le bad news a cui siamo abituati almeno dalla fine degli incentivi al Jobs Act: continuano a salire, implacabilmente, solo i contratti a termine, mentre i tempi indeterminati restano al palo. Le cifre in chiaroscuro vengono dall’Istat (fatturato e ordinativi dell’industria) e dall’Inps (l’ultimo Osservatorio sul precariato).

I NUMERI DELL’INDUSTRIA sono riferiti al 2017: l’anno si è chiuso con un +5,1% del fatturato, migliore performance dal 2011, mentre gli ordini sono saliti del 6,6%. L’indice complessivo del fatturato (110) è tornato al livello più alto dall’ottobre del 2008, mese successivo al fallimento di Lehman Brothers, evento scatenante della grande crisi. Resta comunque ancora lontano il livello di 117 punti e oltre che l’Italia aveva toccato nell’estate di quell’anno.

I migliori dati sul fatturato arrivano dall’estero (+6,1%), confermando che il made in Italy funziona e sta risalendo velocemente le posizioni; ma sono positivi anche quelli relativi alla domanda interna (+4,5%). Molto buone le cifre del mese di dicembre: rispetto a novembre la crescita del fatturato è stata del 2,5%, mentre rispetto al dicembre 2016 la crescita registrata è del 7,2%. A tirare la volata sono l’energia, l’elettronica e le macchine elettriche.

«ALLA FACCIACCIA DI CHI dice che non abbiamo fatto nulla», commenta entusiasta il segretario Pd Matteo Renzi, che cerca di capitalizzare per la campagna elettorale. «Bellino il nuovo spot del Pd… lo avete visto? Ma nulla è efficace come i dati incoraggianti del fatturato industriale appena usciti», aggiunge poi l’ex premier Renzi parlando da un piccolo palco improvvisato in un cortile interno della Verinlegno, azienda del pistoiese.

Frena gli entusiasmi Annamaria Furlan, leader della Cisl: «Il recupero del fatturato nel 2017 è positivo, anche se siamo molti punti lontani dai livelli pre-crisi. Ci sono ancora milioni di disoccupati in Italia – scrive su Twitter la segretaria generale – Ora serve un patto imprese-sindacati e una riforma fiscale che dia slancio a salari e pensioni per favorire anche i consumi interni».

ANDAMENTI «POSITIVI» per il Centro studi di Confindustria, che non esclude sorprese anche sul Pil: «La dinamica dell’economia nel primo trimestre potrebbe rilevarsi superiore alle attese». Un peso non da poco è giocato dai prezzi: avvicinarsi all’obiettivo europeo del 2% aiuterebbe. Per ora l’Italia si ferma a metà strada – 0,9% in gennaio – anche se qualcosa sembra muoversi: per esempio il carrello della spesa è salito dell’1,3%, ben oltre il tasso medio, con l’eccezione di un freno per frutta e verdura.

Passando al fronte lavoro, il numero delle ore autorizzate di cassa integrazione in un anno risulta quasi dimezzato, ma sono i dati dell’Inps a preoccupare di più. I posti creati nel corso del 2017 sono pari a 488 mila, più di quelli spuntati fuori nel 2016 (326 mila) ma meno del «bottino» del 2015 (613 mila), anno di incentivi pieni. Grande protagonista, ancora, il lavoro precario.

IL BILANCIO POSITIVO DEI posti creati nel 2017 è infatti da ascrivere quasi esclusivamente ai contratti a termine (saliti di 537 mila unità), mentre calano quelli a tempo indeterminato (-117 mila). Ormai, infatti, meno di un’assunzione su quattro è stabile, quota dimezzata rispetto a due anni fa.

Non solo, tra i contratti «brevi», l’Inps segnala l’esplosione del lavoro a chiamata (+120%), come, ipotizza, risposta all’addio ai voucher. Sembra esserci però anche una spiegazione per la caduta delle stabilizzazioni, particolarmente acuta a dicembre (-60% le assunzioni a tempo indeterminato): probabilmente gli imprenditori stavano aspettando i nuovi sgravi, i bonus per i giovani scattati da gennaio. Nel frattempo sono aumentate le domande di disoccupazione, sfiorando nel 2017 quota 2 milioni.

CIFRE CHE ACCENDONO le opposizioni. Scondo Renato Brunetta di Forza Italia, candidato da Silvio Berlusconi a guidare unprossimo (eventuale) ministero dell’Economia per il centrodestra, «dai dati dell’Inps arriva una »nuova certificazione del fallimento delle politiche del Jobs Act». Critico anche Stefano Fassina di Leu: »siamo sempre sotto« la zona euro.