Settima al mondo, seconda in Europa solo al Regno Unito per dosi amministrate ogni cento abitanti. Meglio di Italia, Francia, Germania. La campagna di vaccinazione della Serbia è una sequenza di record che potrebbe portare il Paese balcanico a raggiungere l’immunità collettiva entro l’estate.

Iniziata prima rispetto agli altri Stati dell’Ue, la campagna vaccinale serba è decollata però negli ultimi dieci giorni quando a Belgrado è arrivato un carico da un milione di vaccini proveniente dalla Cina, il primo a sbarcare in Europa. Ad accoglierlo, il presidente della Serbia Aleksandar Vucic insieme al ministro della Salute Zlatibor Loncar, al capo dell’intelligence Bratislav Gasica e all’ambasciatore cinese a Belgrado Chen Bo. Una dimostrazione della gratitudine della Serbia verso il «fratello Xi», come lo stesso Vucic ha chiamato il capo di Stato cinese.

Un film già visto la scorsa primavera quando allo scoppio della pandemia, le mascherine avevano iniziato a scarseggiare. Anche allora la Cina era accorsa in aiuto della Serbia, mentre l’Ue sbatteva la porta in faccia ai Balcani, imponendo il divieto di esportazione di dispositivi di protezione. «La solidarietà europea non esiste, era solo una favola» aveva sbottato Vucic, facendosi interprete di un malumore diffuso in tutta la regione.

Nella seconda fase della pandemia, quella della vaccinazione di massa, Belgrado non si è fatta trovare impreparata. A differenza di altri Stati nei Balcani, la Serbia ha stretto diversi accordi per la fornitura di vaccini, dal cinese Sinopharm, all’americano Pfizer/BioNTech, al russo Sputnik V, di cui sono state ordinate due milioni di dosi. E ieri Vucic ha annunciato l’arrivo entro marzo di un altro carico da un milione di dosi, senza specificarne la provenienza.

La campagna vaccinale serba non è però priva di propaganda e ombre, se si considera ad esempio, la mancanza di trasparenza dell’Agenzia del farmaco serba sul rilascio delle autorizzazioni ai vaccini inoculati. Eppure è innegabile la netta linea di demarcazione tra la strategia adottata da Belgrado e quelle di altri Stati della regione. Valga su tutti un dato: il solo Paese oltre la Serbia ad aver iniziato le vaccinazioni con quasi un mese di ritardo rispetto a Belgrado, è l’Albania.

Qui un furioso Edi Rama ha criticato duramente la decisione dell’Ue di escludere i Balcani dal piano vaccinale europeo. Una mossa «moralmente e politicamente inaccettabile» per il premier albanese che ha accusato l’Europa di «pensare solo a se stessa». Finora Tirana è riuscita a negoziare una fornitura di 500mila vaccini Pfizer/BioNTech, ma gli scenari prospettati dal premier non sono incoraggianti: si prevede che la campagna vaccinale, iniziata grazie a una donazione di uno Stato europeo tenuto nascosto, durerà da 14 a 24 mesi.

Gli altri Paesi, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro e Bosnia-Erzegovina, arrancano ancor più vistosamente nella corsa al vaccino. E se Skopje e Pristina sono prossime all’avvio delle vaccinazioni, per Sarajevo e Podgorica la campagna vaccinale è una chimera. La Macedonia del Nord, che potrà contare su una prima fornitura di 8mila dosi acquistata da Belgrado, ha acquistato 800mila vaccini Pfizer/BioNTech. Stesso discorso per il Kosovo dove è previsto l’arrivo di 500mila dosi del vaccino americano entro l’anno.

Drammatico, invece, il ritardo di Bosnia-Erzegovina e Montenegro, che hanno deciso di fare affidamento esclusivamente sul Covax, il programma dell’Oms per garantire l’accesso globale ai vaccini. Con un miliardo di euro stanziati, l’Ue è il principale donatore di un meccanismo che però stenta a decollare a causa della competizione spietata tra gli Stati ad accaparrarsi i vaccini. Si stima poi che con tale meccanismo si raggiungerà solo il 20% dell’immunità della popolazione entro la fine dell’anno.

Intanto dall’Europa è arrivato un ulteriore sostegno economico, pari a 70 milioni di euro, che dovrebbe fungere da ponte finché il programma Covax non entrerà a pieno regime. Misura a cui ha fatto seguito una lettera dei ministri degli Esteri di tredici Stati membri indirizzata alla Commissione Ue, in cui si chiede la condivisione dei vaccini con i Paesi dei Balcani e l’Ucraina.